Valutazione dell’efficacia dei trattamenti nei disturbi dell’alimentazione

A cura di: Riccardo Dalle Grave

La valutazione dell’efficacia dei trattamenti dei disturbi dell’alimentazione richiede l’analisi di numerosi parametri che possono essere divisi in sei categorie principali:

  1. Valutazione dei criteri diagnostici DSM dei disturbi dell’alimentazione.
  2. Valutazione della presenza e della frequenza dei principali comportamenti osservati nei disturbi dell’alimentazione (episodi bulimici, vomito auto-indotto, uso improprio di lassativi, uso improprio di diuretici, esercizio fisico eccessivo e compulsivo, restrizione alimentare calorica).
  3. Indice di Massa Corporea o percentile dell’Indice di Massa Corporea nel pazienti con meno di 18 anni di età.
  4. Valutazione della gravità della caratteristiche dei disturbi dell’alimentazione
  5. Valutazione del funzionamento psicosociale.
  6. Valutazione di altri disturbi psichiatrici coesistenti.

La valutazione di questi parametri permette durante il trattamento permette di valutare se il paziente ha raggiunto la guarigione o la remissione completa o parziale dal disturbo dell’alimentazione e di individuare i problemi residui che devono essere affrontati dal trattamento.

Le valutazioni dovrebbero essere eseguite prima dell’inizio, durante e alla fine del trattamento, a sei e 12 mesi di follow-up. Particolarmente importanti sono le valutazioni eseguite durante le prime fasi del trattamento ambulatoriale, perché i dati a disposizione indicano che il miglioramento ottenuto nelle prime quattro settimane di cura è uno dei più importanti predittori di esito.[1] Un mancato miglioramento iniziale può indicare la necessità di un trattamento più intensivo (es. terapia ambulatoriale intensiva, day-hopital, ricovero riabilitativo).

Nel campo dei disturbi dell’alimentazione sono state proposte numerose definizione dei termini “guarigione” e “remissione”. Ad esempio, nei trial controllati di psicoterapia della bulimia nervosa i pazienti sono stati giudicati guariti, quando non riportavano nessun episodio bulimico e purgativo (vomito autoindotto, uso improprio di lassativi, uso improprio di diuretici) negli ultimi 28 giorni, e in remissione quando la frequenza di degli episodi bulimici e purgativi era inferiore alla soglia diagnostica prevista (es. inferiore a due la settimana negli ultimi 28 giorni nel DSM-IV).[2] Negli studi più recenti eseguiti nella bulimia nervosa, nei disturbi dell’alimentazione NAS e nell’anoressia nervosa è stata inclusa come forme di valutazione di esito anche la gravità delle caratteristiche del disturbo dell’alimentazione confrontandola con i dati normativi della popolazione.[3-6] In questo caso è stato valutato il numero di pazienti che avevano un punteggio globale nell’intervista Eating Disorder Examination (EDE) o all’Eating Disorder Examination Questionnaire (EDE-Q) inferiore a una deviazione standard rispetto alla media comunitaria.[3-6] Negli studi sull’anoressia nervosa, inoltre, è oramai utilizzato dalla maggior parte dei ricercatori come misura di remissione primaria la valutazione della percentuale di pazienti adulti che raggiunge la soglia minima di normopeso dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (IMC ≥18,5 kg/m2)[4, 6] e la percentuale di pazienti adolescenti (< 18 anni) che raggiunge il 95% peso ideale (definito come il 50° percentile di IMC).[5, 7]

Sebbene ci sia una mancanza di consenso su cosa significhi “vera guarigione” dal disturbo dell’alimentazione, recentemente Bardone-Cone e collaboratori,[8] sottolineando la necessità di avere una definizione condivisa di guarigione per confrontare i risultati dei trattamenti e combinare i dati degli studi – un approccio usato anche nella depressione maggiore,[9, 10] hanno proposto che la guarigione piena è raggiunta quando un individuo con una storia di disturbo dell’alimentazione appare non distinguibile dai controlli sani – definiti come individui che non hanno una storia di disturbo dell’alimentazione – su indici che riflettono gli aspetti comportamentali e psicologici dei disturbi dell’alimentazione. A tal fine hanno operazionalizzato la definizione di “guarigione piena” quando il paziente soddisfa i seguenti quattro criteri:[8]

  1. Non soddisfare più i criteri diagnostici di un disturbo dell’alimentazione (anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo dell’alimentazione NOS).
  2. Non avere episodi bulimici, purgativi e di digiuno negli ultimi tre mesi.
  3. Avere un IMC di almeno 18,5.
  4. Ottenere un punteggio inferiore a una deviazione standard rispetto alla media comunitaria in tutte le sottoscale dell’EDE-Q: Restrizione, Preoccupazione per l’Alimentazione, Preoccupazione per il Peso e Preoccupazione per la Forma del Corpo.

Gli stessi autori hanno proposto la definizione di “guarigione parziale” quando un individuo soddisfa tutti i criteri descritti sopra descritti ad eccezione del criterio dell’EDE-Q,[8] che significa soddisfare i criteri fisici e comportamentali, ma non quelli psicologici.

Sebbene nella pratica clinica sia importante esaminare sempre il funzionamento psicosociale e la presenza di altre psicopatologie per comprendere meglio le vite delle persone guarite dai disturbi dell’alimentazione – usando gli strumenti diagnostici descritti nel capitolo 3 (es. CIA, SCL-90) – gli studi recenti che hanno valutato l’esito dei trattamenti e la definizione di Bardone-Cone e collaboratori non hanno incluso questi domini nella definizione di guarigione da un disturbo dell’alimentazione. Questo approccio è simile a quello applicato dai ricercatori nella definizione di guarigione dalla depressione maggiore,[9, 10] i quali hanno argomentato che il funzionamento giornaliero non dovrebbe essere incluso nella definizione della guarigione dalla depressione maggiore dal momento che questo è influenzato sia dal disturbo di interesse sia da un ampio numero di altri fattori.

I dati a disposizione, comunque, sugli esiti psicosociali dei pazienti guariti da disturbo dell’alimentazione secondo le definizioni descritte sopra, hanno generalmente osservato un miglioramento marcato del loro funzionamento psicologico generale.8 In contrasto, alcuni studi hanno trovato che anche tra i pazienti che appaiono guariti dal disturbo dell’alimentazione possono persistere danni nel funzionamento sociale, come indicato dalla presenza di scarso supporto sociale, di reti sociale limitate e di bassa soddisfazione nei confronti della vita.[11]

Negli individui con un disturbo dell’alimentazione pregresso ma non in atto sono stati trovati anche sintomi significati di depressione e ansia,[12] sebbene alcuni studi non abbiano osservato una presenza maggiore di disturbi psichiatrici nei pazienti guariti dal disturbi dell’alimentazione rispetto ai controlli sani.[13, 14] Gli individui, invece con un esito intermedio tendono invece a presentare una maggiore frequenza di disturbi depressivi e di ansia rispetto a quelli guariti.[15]

10

1. Agras WS, Crow SJ, Halmi KA, Mitchell JE, Wilson GT, Kraemer HC. Outcome predictors for the cognitive behavior treatment of bulimia nervosa: data from a multisite study. American Journal of Psychiatry 2000;157:1302-8.
2. Agras WS, Walsh T, Fairburn CG, Wilson GT, Kraemer HC. A multicenter comparison of cognitive-behavioral therapy and interpersonal psychotherapy for bulimia nervosa. Arch Gen Psychiatry 2000;57:459-66.
3. Fairburn CG, Cooper Z, Doll HA, et al. Transdiagnostic cognitive-behavioral therapy for patients with eating disorders: a two-site trial with 60-week follow-up. American Journal of Psychiatry 2009;166:311-9.
4. Fairburn CG, Cooper Z, Doll HA, O’Connor ME, Palmer RL, Dalle Grave R. Enhanced cognitive behaviour therapy for adults with anorexia nervosa: A UK-Italy study. Behaviour research and therapy 2013;51:R2-8.
5. Lock J, Le Grange D, Agras WS, Moye A, Bryson SW, Jo B. Randomized clinical trial comparing family-based treatment with adolescent-focused individual therapy for adolescents with anorexia nervosa. Arch Gen Psychiatry 2010;67:1025-32.
6. Schmidt U, Oldershaw A, Jichi F, et al. Out-patient psychological therapies for adults with anorexia nervosa: randomised controlled trial. Br J Psychiatry 2012;201:392-9.
7. Dalle Grave R, Calugi S, Doll HA, Fairburn CG. Enhanced cognitive behaviour therapy for adolescents with anorexia nervosa: An alternative to family therapy? Behaviour research and therapy 2013;51:R9-R12.
8. Bardone-Cone AM, Harney MB, Maldonado CR, et al. Defining recovery from an eating disorder: Conceptualization, validation, and examination of psychosocial functioning and psychiatric comorbidity. Behaviour Research and Therapy 2010;48:194-202.
9. Rush AJ, Kraemer HC, Sackeim HA, et al. Report by the ACNP Task Force on response and remission in major depressive disorder. Neuropsychopharmacology 2006;31:1841-53.
10. Frank E, Prien RF, Jarrett RB, et al. Conceptualization and rationale for consensus definitions of terms in major depressive disorder. Remission, recovery, relapse, and recurrence. Arch Gen Psychiatry 1991;48:851-5.
11. Striegel-Moore RH, Seeley JR, Lewinsohn PM. Psychosocial adjustment in young adulthood of women who experienced an eating disorder during adolescence. J Am Acad Child Adolesc Psychiatry 2003;42:587-93.
12. Pollice C, Kaye WH, Greeno CG, Weltzin TE. Relationship of depression, anxiety, and obsessionality to state of illness in anorexia nervosa. International Journal of Eating Disorders 1997;21:367-76.
13. Herpertz-Dahlmann B, Muller B, Herpertz S, Heussen N, Hebebrand J, Remschmidt H. Prospective 10-year follow-up in adolescent anorexia nervosa–course, outcome, psychiatric comorbidity, and psychosocial adaptation. J Child Psychol Psychiatry 2001;42:603-12.
14. Halvorsen I, Andersen A, Heyerdahl S. Good outcome of adolescent onset anorexia nervosa after systematic treatment. Intermediate to long-term follow-up of a representative county-sample. Eur Child Adolesc Psychiatry 2004;13:295-306.
15. Lowe B, Zipfel S, Buchholz C, Dupont Y, Reas DL, Herzog W. Long-term outcome of anorexia nervosa in a prospective 21-year follow-up study. Psychol Med 2001;31:881-90.