Obesità clinica: abbiamo bisogno di una definizione della diagnosi condivisa

Riccardo Dalle Grave

L’obesità è stata riconosciuta come malattia tra il 2013 e il 2022 da diverse società mediche e paesi. Ad esempio, le recenti Canadian Clinical Practice Guidelines del 2020 definiscono l’obesità come “una prevalente, complessa, progressiva e recidivante malattia cronica caratterizzata dalla presenza di grasso corporeo in eccesso o anormale (adiposità) che danneggia la salute”. Tuttavia, la concettualizzazione dell’obesità come malattia e non semplicemente fattore di rischio per altre malattie è tuttora molto controversa ed ha importanti implicazioni sia per gli interventi di salute pubblica sia per le persone che vivono con l’obesità.

Argomenti contro la definizione di obesità come malattia

Tre sono i principali argomenti sostenuti da coloro che sono contro la definizione dell’obesità come malattia.

  1. Considerare l’obesità come malattia può avere conseguenze negative sulle persone con obesità e sulla salute della popolazione. Questa concettualizzazione può infatti ridurre o eliminare la responsabilità individuale e incoraggiare l’adozione e il mantenimento di uno stile di vita non salutare e danneggiare gli interventi di prevenzione per affrontare i tassi crescenti dell’obesità a livello globale. NB. Questa argomentazione è stata criticata perché può riflettere in parte lo stigma del peso presente nelle società occidentali.
  2. L’indice di massa corporea (IMC) nel range dell’obesità (cioè ≥ 30 kg/m2) si associa a un aumentato rischio di malattia e morte ma di per sé non è una malattia (è un fattore di rischio non una malattia). Ci sono, infatti, malattie associate all’obesità (es. malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, alcuni di cancro) che si sviluppano anche in assenza di obesità. Inoltre, ci sono molte persone che hanno un IMC nell’intervallo dell’obesità che non hanno organi malati o segni e sintomi di disabilità fisica.
  3. La definizione generica di obesità basata solo sull’IMC classificherebbe il 30% o più della popolazione di molte nazioni come malate. Questa definizione renderebbe più un terzo di queste popolazioni come avente diritto a cure molto costose con l’uso ingiustificato di farmaci, tecnologie mediche e procedure chirurgiche e richieste di invalidità con la conseguenza di rendere l’obesità un problema finanziariamente non sostenibile e socialmente intrattabile.

Argomenti a favore della definizione di obesità come malattia

Una malattia per essere tale deve avere una causa patogena che determina alterazioni fisiopatologiche (degli organi) e manifestazioni cliniche. Secondo molti autori, l’obesità soddisfa questa definizione per i seguenti motivi

  1. È causata dall’interazione complessa di fattori genetici, che influenzano a livello del sistema nervoso centrale l’assunzione di cibo, ambientali e cognitivo comportamentali.
  2. Il bilancio energetico positivo persistente determinato dai fattori causali crea un incremento progressivo del tessuto adiposo e, quando è superata la capacità del tessuto adiposo sottocutaneo di espandersi, si verifica uno spillover lipidico che porta all’accumulo di grasso in siti indesiderati (deposizione di grasso ectopico a livello viscerale, epatico, epicardico, miocardico, pancreatico, muscolare e del seno renale) con conseguenze cardiometaboliche dannose.
  3. L’accumulo progressivo di grasso crea una situazione di ipertrofia e necrosi degli adipociti, in parte a causa di anomalie nella tensione di ossigeno nei depositi di grasso espansi e il reclutamento di macrofagi con un fenotipo infiammatorio (macrofagi M1), che determina uno stato di infiammazione di basso grado che a sua volta favorisce lo sviluppo di iperinsulinemia e complicanze cardiometaboliche.
  4. Il grasso a livello viscerale è un tessuto iperlipolitico e resistente all’effetto antilipolitico dell’insulina che determina l’afflusso di acidi grassi al fegato che producono un danno al metabolismo epatico con eccessiva produzione di apoproteina B contenente lipoproteine, aumento della produzione epatica di glucosio, ridotta degradazione epatica dell’insulina, con conseguente iperinsulinemia.
  5. L’eccesso di tessuto adiposo, indipendentemente dalla sua localizzazione, crea anche gradualmente il peggioramento della fitness fisica, la limitazione delle attività quotidiane e lo sviluppo di disabilità fisica.

Definire l’obesità come una malattia a sé stante è perciò coerente con queste evidenze e fornisce una maggiore legittimità medica alla condizione. Questa validità potrebbe aiutare ad aumentare l’accesso all’assistenza sanitaria per l’obesità per chi ne ha bisogno e ridurre plausibilmente lo stigma sociale del peso.

Una visione bilanciata: l’obesità può essere una malattia sia un fattore di rischio

Secondo alcuni autori, come Francesco Rubino e colleghi, la questione se l’obesità sia una malattia o un fattore di rischio per lo sviluppo di malattie future è mal concepita perché presuppone una visione tutto o nulla, in cui l’obesità (cioè l’eccesso di adiposità) è sempre o non è mai una malattia. In realtà l’evidenza attuale suggerisce che l’obesità può essere sia un fattore di rischio che, a volte, una malattia in sé e per sé.

Le soglie di IMC storicamente usate per definire l’obesità sono sono state ideate e studiate come predittori di malattia o mortalità futura, ma non come misure di malattia esistente. Per questo motivo l’esclusivo uso della soglia di un IMC ≥ 30 non può essere usata per definire l’attribuzione di uno stato di malattia all’obesità. Un esempio eclatante dei limiti dell’IMC riguarda gli individui con obesità metabolica, di peso normale, che hanno valori di IMC nell’intervallo della normalità, ma presentano complicanze metaboliche che si riscontrano comunemente nelle persone con obesità. Al contrario, alcuni individui hanno un IM ≥ 30 ma non presentano insulino-resistenza o dislipidemia. Purtroppo, anche gli attuali sistemi di punteggio e stadiazione dell’obesità e gli algoritmi di trattamento per l’obesità grave, come ad esempio l’Edmonton Obesity Staging System, si basano sulla presenza di altre malattie e condizioni (spesso indicate come comorbidità), ma non sulle manifestazioni cliniche dell’obesità stessa.

Una commissione per definire l’obesità clinica

È evidente che non abbiamo ancora una definizione dell’obesità basata su manifestazioni cliniche distintive che riflettono la presenza di grasso corporeo in eccesso o anormale (adiposità) di per sé sul normale funzionamento degli organi e dell’individuo. Pere far fronte a questo problema, un gruppo di esperti internazionali presieduto dal prof. Francesco Rubino del King’s College di Londra ha recentemente istituito la Lancet Diabetes & Endocrinology Commission sull’obesità clinica. La Commissione ha lo scopo di identificare criteri clinici e biologici per la diagnosi di obesità clinica. La sfida è quella di raggiungere una definizione condivisa di “obesità clinica” che indica una condizione in cui il rischio per la salute associato all’eccesso di adiposità si è già materializzato ed è oggettivamente documentabile da segni e sintomi specifici che riflettono alterazioni biologiche di tessuti e organi, coerenti con una malattia esistente e non dipendente dalla presenza di altre comorbidità.

La riformulazione dell’obesità in obesità non clinica o clinica ha il vantaggio di fornire uno strumento cruciale per il modo in cui concettualizziamo e trattiamo l’obesità superando le credenze irrazionali che mantengono lo stigma del peso e permettendo di identificare obiettivi appropriati che, a seconda dei casi, possono riguardare la prevenzione e gli interventi di salute pubblica o il trattamento.

Per approfondire

Rubino, F., Batterham, R. L., Koch, M., Mingrone, G., le Roux, C. W., Farooqi, I. S., . . . Cummings, D. E. (2023). Lancet Diabetes & Endocrinology Commission on the Definition and Diagnosis of Clinical Obesity. Lancet Diabetes Endocrinol, 11(4), 226-228. doi:10.1016/S2213-8587(23)00058-X