La mindfulness funziona?

 

A cura di Riccardo Dalla Grave

Fonte: Shonin, E., Gordon, W. V., & Griffiths, M. D. (2015). Does mindfulness work? BMJ, 351.

La mindfulness è stata definita come il processo di prestare attenzione al momento presente in modo non giudicante. Essa deriva dalla pratica buddista ed è stata oggetto di indagine empirica in dalla fine del 1970 e nel 2014 sono stati pubblicati oltre 700 articoli scientifici su questo intervento. In un editoriale pubblicato il 29 dicembre 2016 sulla prestigiosa rivista inglese BMJ, Shonin, Gordon e Griffiths hanno pubblicato un editoriale in cui hanno discusso le evidenze disponibili sull’efficacia della mindfulness e i le questioni non ancore risolte sull’utilizzo di questa pratica. Gli autori affermano che le evidenze più convincenti riguardano il suo utilizzo nel trattamento della depressione e dell’ansia. Per esempio, una recente meta-analisi di 36 studi randomizzati della riduzione dello stress basato sulla mindfulness, della terapia cognitiva basata sulla mindfulness e di altri basati sulla mindfulness, ognuno confrontato con un controllo attivo, ha riportato un effect size da piccolo a moderato (d = 0,3-0,38) nel trattamento della depressione o dell’ansia dopo otto settimane di training con mindfulness, con una riduzione della dimensione dell’effetto (d = 0,22-0,23), a tre a sei mesi di follow-up. Alcune evidenze suggeriscono che gli interventi di mindfulness basato possono avere un ruolo nel trattamento di altre condizioni psichiatriche, tra cui i disturbi dello spettro della schizofrenia, i disturbi dell’alimentazione e i disturbi di dipendenza (sia chimici e non chimici). Tuttavia, nonostante il fatto che la mindfulness sia stata recentemente stato inc lusa nelle linee guida pratiche del Royal Australian and New Zealand College of Psychiatrists come un trattamento non di prima scelta per il disturbo da binge-eating negli adulti, ci sono insufficienti evidenze derivate da studi randomizzati ben disegnati per supportare il suo uso per condizioni diverse dalla depressione e dall’ansia. Evidenze si stanno sul ruolo della mindfulness nel trattamento di condizioni somatiche come la psoriasi, il cancro, l’infezione da HIV, la sindrome del colon irritabile, le malattie cardiache, l’ipertensione, le malattie polmonari, il diabete mellito e il dolore cronico. Le evidenze derivate da studi randomizzati suggeriscono che gli interventi basati sulla mindfulness (in particolare la riduzione dello stress basato sulla mindfulness e la terapia cognitiva basata sulla mindfulness) sono poco o moderatamente efficaci nel trattamento del dolore cronico (d = 0,33), con possibili applicazioni per il trattamento di disturbi del dolore connessi, come la fibromialgia. Tuttavia, non è chiaro se la consapevolezza riduca la frequenza e l’intensità del dolore o semplicemente migliori la capacità dei pazienti di far fronte al dolore. Gli autori affermano che, con l’eccezione di dolore cronico e disturbi specifici di dolore specifici, non vi siano ancora evidenze sufficienti di alta qualità per supportare l’uso della mindfulness per il trattamento di condizioni somatiche. Le questioni non ancora chiarite sulla mindfulness, secondo Shonin, Gordon e Griffiths, sono molteplici. In particolare, i risultati di questo intervento possono essere influenzati da una forma di “effetto di popolarità” e cioè dal fatto la he crescente popolarità della mindfulness può far sì che i risultati possano essere influenzati da convinzione dei partecipanti di stare ricevendo una tecnica psicoterapeuta alla “moda” o di dimostrata efficacia. C’è anche bisogno di una maggiore chiarezza sul fatto che i risultati positivi siano mantenuti nel corso degli anni e non solo per alcuni mesi, se gli interventi di mindfulness abbiano degli effetti negativi e se sia valida la visione tradizionale che le patiche contemplative abbiano bisogno di una pratica quotidiana di mindfulness per molti anni per potere ottenere miglioramenti sostenibili per la salute e il benessere. Altri problemi non risolti riguardano il fatto che i vari studi hanno incluso interventi formulati con una notevole variazione di fattori come la quantità di ore di contatto tra partecipante-facilitatore, la quantità e la durata degli esercizi di mindfulness guidati, l’utilizzo di tecniche psicoterapeutiche non mindfulness (per es. la psicoeducazione o la discussione di gruppo), l’inclusione di un giorno intero ritiro in silenzio, l’enfasi sull’auto pratica (in genere sostenuto da CD di esercizi di mindfulness guidati), e l’uso di altre tecniche di meditazione (come lo yoga).