Terapia cognitivo comportamentale potenziata per adulti con anoressia nervosa: uno studio inglese e italiano

A cura di: Simona Calugi – AIDAP Firenze e Empoli

Fonte:  Fairburn CG, Cooper Z, Doll HA, O’Connor ME, Palmer RL, Dalle Grave R (2013) Enhanced cognitive behaviour therapy for adults with anorexia nervosa: a UK-Italy study. Behav Res Ther 51 (1):R2-8. doi:10.1016/j.brat.2012.09.010

L’anoressia nervosa negli adulti è stata definita “uno dei più difficili disturbi mentali da trattare”. La riluttanza a ingaggiarsi nel trattamento è comune e, in coloro che accettano il trattamento, l’esito è spesso poco soddisfacente. L’ospedalizzazione è essenziale in alcuni casi e in genere determina un aumento di peso, ma ha lo svantaggio di essere un trattamento costoso e spesso seguito da una perdita di peso. Un trattamento che produce cambiamenti duraturi sarebbe di grande utilità, specialmente se potesse essere applicato in un setting ambulatoriale.

L’anoressia nervosa è, inoltre, difficile da studiare a causa della sua rarità, dei rischi medici associati, dell’alta durata del trattamento e dell’importanza del follow-up per determinare se gli effetti del trattamento persistano nel tempo.

Nove studi sui trattamenti psicosociali sono stati pubblicati e alcuni di questi sono stati interrotti a causa di difficoltà incontrate durante il reclutamento. Quasi tutti gli studi avevano una numerosità campionaria bassa, il numero medio di pazienti per condizione di trattamento era inferiore a 20. Queste sfide metodologiche, insieme ai risultati deludenti o inconcludenti degli studi fatti fino ad oggi, hanno portato alla proposta che i nuovi trattamenti per l’anoressia nervosa dovrebbero essere sottoposti a numerosi test preliminari prima di essere considerati ammissibili alla valutazione in studi randomizzati e controllati. Alternativamente è stato proposto che il focus della ricerca dovesse spostarsi dagli adulti al trattamento sugli adolescenti dato che sembra che siano più facili da trattare e da studiare.

La terapia cognitivo comportamentale è un potenziale candidato per il trattamento dell’anoressia nervosa in un setting ambulatoriale dato che è il principale trattamento empiricamente supportato per la bulimia nervosa. La terapia cognitivo comportamentale per la bulimia nervosa è stata recentemente adattata con l’obiettivo di renderla applicabile ad ogni forma di trattamento, compresa l’anoressia nervosa. A tal fine la nuova forma “migliorata” di trattamento (CBT-E) si focalizza sul modificare i meccanismi attraverso cui tutte le forme di psicopatologia del disturbo dell’alimentazione perpetuano. Il trattamento è stato testato in due studi indipendenti dove ha prodotto cambiamenti duraturi in pazienti con disturbo dell’alimentazione non significativamente sottopeso, indipendentemente dalla loro diagnosi DSM. L’utilità del trattamento per i pazienti con anoressia nervosa deve essere ancora stabilita.

Alla luce della raccomandazione secondo cui nuovi trattamenti per gli adulti con anoressia nervosa richiedono approfondite valutazioni preliminari, in questo lavoro sono stati studiati gli effetti della CBT-E in due campioni di pazienti gravemente compromessi. Molti di questi pazienti erano nella condizione di poter essere ricoverati. La scelta di includere pazienti significativamente sottopeso serve a testare le potenzialità del nuovo trattamento.

Lo studio è stato effettuato per rispondere a quattro quesiti clinici:

  1. Tra gli adulti con marcata anoressia nervosa, qual è la percentuale di pazienti in grado di completare questo trattamento ambulatoriale?
  2. Tra coloro che completano il trattamento, qual è l’esito?
  3. I cambiamenti sono mantenuti?
  4. Ci sono delle variabili in basale che predicono il completamento del trattamento?

I due campioni di pazienti sono stati reclutati uno in Inghilterra e uno in Italia. Entrambi soddisfacevano i criteri diagnostici dell’anoressia nervosa, eccetto il criterio dell’amenorrea. L’intervento terapeutico, della durata di 40 settimane, è articolato in tre fasi. Nella prima fase l’enfasi è posta sull’aumento della motivazione al cambiamento; nella seconda il paziente viene aiutato a recuperare peso affrontando contemporaneamente la psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione; nella terza fase il paziente viene aiutato a sviluppare strategie personalizzate per identificare e modificare ogni difficoltà residua prima della fine della terapia e per gestire una potenziale ricaduta.

Per questa ricerca è stata utilizzata la versione focalizzata della CBT-E dato che ha mostrato maggiore utilità clinica rispetto alla versione allargata.

Il trattamento prevede 40 sedute della durata di 50 minuti ciascuna da effettuarsi con un unico terapeuta, in 40 settimane.

La valutazione, effettuata prima dell’ingresso, alla fine del trattamento e 60 settimane dopo la dimissione, comprende la misurazione del peso e il calcolo dell’IMC, la misurazione della psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione attraverso l’Eating Disorder Examination interview (EDE) e la sua versione self-report (EDE-Q), la misurazione della psicopatologia generale attraverso il Brief Symptom Inventory (BSI).

Sono stati reclutati 99 pazienti, 50 in Inghilterra e 49 in Italia, con un’età media di 24 anni e una durata media di malattia di circa 3 anni. Il campione italiano ha un IMC significativamente più basso e una psicopatologia meno grave del campione inglese.

Il primo risultato dello studio riguarda l’incremento di peso alla fine del trattamento. Nel campione totale e utilizzando un’analisi intent-to-treat, l’IMC passa da 16,1 all’inizio del trattamento a 17,9 alla fine e rimane stabile dopo 60 settimane di follow-up (IMC 17,8). L’aumento di peso è accompagnato da una diminuzione della psicopatologia del disturbo dell’alimentazione e della psicopatologia generale.

Gli altri risultati vengono esplicitati attraverso la risposta ai quattro quesiti clinici:

1) Qual è la percentuale di pazienti in grado di completare la CBT-E ambulatoriale?

Due terzi dei pazienti (63,6%) in entrambi i centri ha completato le 40 settimane di trattamento. Solo un terzo dei pazienti, quindi, non completa il trattamento. Le ragioni che hanno portato al non completamento del percorso terapeutico sono due. La prima riguarda una decisione terapeutica in risposta ad un peggioramento dello stato di salute fisica del paziente o alla mancanza di progressi, la seconda riguarda invece l’interruzione spontanea del paziente. Nel primo caso tutti i pazienti venivano direzionati verso percorsi terapeutici più intensivi.

2) Tra coloro che completano il trattamento, qual è l’esito?

La risposta al trattamento è simile nei due centri. L’aumento di peso medio è di 7,5 kg che corrisponde ad un aumento di 2,8 punti di IMC. Oltre il sessanta percento dei pazienti ha raggiunto un IMC ≥ 18,5. La psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione e la psicopatologia generale sono migliorate significativamente. Quasi il novanta percento dei pazienti ha una psicopatologia del disturbo dell’alimentazione residua minima, definita come l’avere un EDE-Q totale inferiore di una deviazione standard rispetto alla media di comunità (< 2,77).

3) I cambiamenti sono mantenuti?

La compliance con il follow-up è molto alta, infatti l’84% dei pazienti che ha completato il trattamento sono stati rivalutati dopo 60 settimane. Solo una minoranza dei 63 pazienti che hanno completato il trattamento hanno richiesto trattamenti aggiuntivi nel periodo del follow-up: tre pazienti inglesi e due italiani hanno ricevuto trattamenti aggiuntivi e 4 pazienti inglesi e tre italiani hanno ricevuto da una a cinque sessioni “di richiamo”.

Nel complesso i cambiamenti raggiunti durante il trattamento sono stati ben mantenuti. Si è verificata una leggera riduzione dell’IMC così come della psicopatologia generale e specifica. Come risultato la proporzione di pazienti con IMC ≥ 18,5 è scesa dal 62% al 55%. Allo stesso modo la proporzione con una psicopatologia residua minima è diminuita dall’87% al 78%.

4) Ci sono delle variabili in basale che predicono il completamento del trattamento?

Non c’è una relazione statisticamente significativa tra centro, età, durata del disturbo dell’alimentazione o IMC e completamento del trattamento. Tuttavia il completamento del trattamento è significativamente associato con la gravità della psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione e con la psicopatologia generale. In particolare coloro che hanno più grave psicopatologia hanno meno probabilità di completare il trattamento. Il punteggio dell’EDE-Q totale, delle sottoscale relative alla preoccupazione per il peso e per la forma del corpo, del BSI e la frequenza degli episodi bulimici e del vomito sono significativamente più alti in coloro che non completano il trattamento rispetto a coloro che lo completano, con una relazione più forte osservata con l’EDE-Q totale, la sottoscala preoccupazione per il peso e la presenza e frequenza degli episodi di vomito. Nella regressione multipla solo la sottoscala preoccupazione per il peso dell’EDE-Q e gli episodi di vomito si mantenevano nel modello con un effetto indipendente.

Lo studio ha tre risultati principali. Il primo è che due terzi dei pazienti, in entrambi i centri, riesce a completare questo percorso terapeutico. Il secondo risultato riguarda l’esito del trattamento. L’aumento del peso e il miglioramento della psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione a fine terapia sono a conferma della qualità e della specificità dell’intervento terapeutico. Il terzo risultato è particolarmente interessante e riguarda la stabilità dei cambiamenti ottenuti. Nonostante la minima quantità di trattamento nel post-terapia, i cambiamenti si sono ben mantenuti con soltanto un lieve deterioramento del peso e della psicopatologia specifica. Questo risultato è in netto contrasto contrasto gli alti livelli di ricaduta a 12 mesi di follow-up negli studi sull’ospedalizzazione.

Due delle principali variabili di esito possono essere confrontate tra i vari studi. La prima è il completamento del trattamento. In questo studio due terzi dei pazienti hanno completato la CBT-E, un livello di completamento tipico di questa tipologia di pazienti. La seconda variabile è il recupero del peso. Il recupero medio in questo studio, utilizzando un’analisi intent-to-treat è di 5 kg che è superiore a quello di 2,7 kg riportato nell’unico altro studio in cui sia stato valutato il cambiamento del peso in pazienti sottopeso trattati in un setting ambulatoriale. Inoltre il cambiamento di peso ottenuto è superiore a quello riportato utilizzando una generica forma di CBT, psicoterapia interpersonale e una forma di management clinico specialistico in un gruppo di pazienti con livelli di gravità inferiori.

La ricerca ha alcuni punti di forza. Primo, la raccolta di due campioni paralleli, entrambi di ampie dimensioni per studiare il trattamento dell’anoressia nervosa ha permesso di determinare se i risultati possano essere considerati robusti. Secondo, i pazienti sono stati consecutivamente reclutati in cliniche con una lunga esperienza nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione, ciascuna delle quali fornisce il servizio principale nella propria area geografica. E’ per questo che i risultati ottenuti sono potenzialmente estendibili ad altri centri clinici. Terzo, come notato precedentemente, i casi non sono di lieve gravità. Quarto, in contrasto con molti altri studi, la CBT-E è stata il solo trattamento psicologico effettuato, nessun altro tipo di intervento è stato messo in atto. Ultimo, i pazienti erano seguiti per oltre un anno dopo il completamento della CBT-E, periodo in cui la ricaduta è più probabile.

Dati i suoi obiettivi specifici, lo studio ha tre principali limitazioni. Il primo è che i risultati non possono essere generalizzati a pazienti con IMC al di sotto di 15 o al di sopra di 17,5. Secondo, un periodo di follow-up più lungo dovrebbe essere previsto per determinare la stabilità dei cambiamenti a lungo termine. Terzo, nonostante l’ampia numerosità campionaria rispetto alla rarità della patologia in questione, lo studio ha una potenza statistica modesta per rilevare gli effetti nei due centri. Studi multicentrici più numerosi sono necessari per confermare che gli effetti della CBT-E sono replicabili. Da una prospettiva più ampia, l’altra principale limitazione è che la CBT-E non è stata confrontata con nessun altro trattamento. Ciò significa che nessuna conclusione può essere tratta relativamente all’efficacia della CBT-E rispetto ad altri approcci terapeutici.

In conclusione posso commentare che questo è on lavoro molto atteso che mette un tassello importante nel mondo della psicoterapia per i disturbi dell’alimentazione. Il prof. Fairburn da anni porta avanti la ricerca scientifica a sostegno dell’ipotesi transdiagnostica dei disturbi dell’alimentazione. Con questo studio non solo la teoria trasdiagnostica guadagna in scientificità, ma la CBT-E si dimostra efficace in pazienti con anoressia nervosa, una patologia da sempre considerata molto complessa e resistente al trattamento, soprattutto quando è presente in pazienti adulti.