Apps e disturbi dell’alimentazione: una valutazione clinica sistematica

A cura di: Riccardo Dalle Grave

Unità di Riabilitazione Nutrizionale Casa di Cura Villa Garda.

Fonte: Fairburn CG, Rothwell RE. Apps and Eating Disorders: A Systematic Clinical Appraisal. Int J Eat Disord 27 FEB 2015 | DOI: 10.1002/eat.22398

Le applicazioni per gli smartphone (apps) stanno proliferando e quelle per la salute sono particolarmente popolari. È stato calcolato che quasi un quinto degli utenti ha almeno un app riguardante la salute nel suo smartphone e questa cifra è destinata a raggiungere il 50% entro il 2018. Tuttavia, molte applicazioni riguardanti la salute sono poco utilizzate, perché più del 50% sono scaricate meno di 500 volte. I problemi più comuni affrontati dalle apps riguardanti la salute sono i disturbi mentali e comportamentali, in particolare i disturbi d’ansia, la depressione e l’uso eccessivo di alcool. Le apps riguardanti la salute hanno una varietà di funzioni, tra cui il fornire informazioni, l’autovalutazione, l’automonitoraggio, e il fornire consigli o trattamenti.

Lo scopo dello studio di Fairburn e Rothwell del centro CREDO dell’Università di Oxford è stato quello di identificare, caratterizzare e valutare l’utilità clinica delle apps dedicate sia alle persone con disturbi dell’alimentazione sia ai terapeuti. La loro ricerca ha identificato 805 apps potenzialmente rilevanti, di cui 39 ideate in modo specifico per le persone affette da disturbi dell’alimentazione e cinque per i terapeuti.

I risultati della revisione si possono riassumente nel modo seguente.  Le apps per le persone affette da disturbi dell’alimentazione hanno cinque funzioni principali: (i) fornire informazioni; (ii) permettere l’autovalutazione del disturbo dell’alimentazione; (iii) fare l’automonitoraggio; (iv) fornire consigli o trattamenti; (v) offrire altre funzioni (per es. permettere di scrivere ad altre persone con disturbi dell’alimentazione; offrire immagini ogni giorno di “ragazze reali”).  La funzione più comune è quella di dare consigli, ma la qualità delle informazioni offerte varia dall’affidabile al potenzialmente dannoso. Cinque apps includono strumenti di autovalutazione, ma solo due usano metodi che possono essere considerati affidabili. Quattro apps hanno come caratteristica principale l’automonitoraggio delle abitudini alimentari. Inoltre, immettere le informazioni nelle apps presenta vari gradi di difficoltà, ma in genere è abbastanza complicato. Infine, solo un’apps permette di trasferire informazioni tra paziente e terapeuta.

Secondo Fairburn e Rothwell l’automonitoraggio è probabilmente la funzione che potrebbe interessare maggiormente i terapeuti. L’automonitoraggio ha due funzioni principali: (i) il monitoraggio della psicopatologia e (ii) l’analisi della psicopatologia.  Le domande che sorgono riguardo a queste funzioni sono due. Può il metodo convenzionale di automonitoraggio con l’uso di schede o questionari scritti essere sostituito dalle apps? E in caso affermativo, l’uso delle apps è applicabile in modo simile sia per il monitoraggio sia per l’analisi della psicopatologia?

La registrazione sulle apps ha dei potenziali vantaggi perché la maggior parte dei pazienti ha uno smartphone e lo usa spesso. Per tale motivo potrebbe essere più semplice per i pazienti eseguire l’automonitoraggio con una apps rispetto al dover usare delle schede cartacee.

La valutazione eseguita da Fairburn e Rothwell sull’uso delle apps come strumento di automonitoraggio non è stata però positiva come ci si poteva aspettare. Mentre è sicuramente conveniente non dover portare con sé le schede di monitoraggio, la registrazione utilizzando una apps non è in molti casi più veloce ed è spesso frustrante. Le apps sono in genere molto rigide soprattutto per quanto riguarda il modo in cui le informazioni devono essere inserite, inoltre le opzioni pre-impostate talvolta impediscono una descrizione accurata dei pensieri, delle emozioni e delle circostanze associate al comportamento alimentare da monitorare. Tre applicazioni forniscono una sintesi di informazioni da inserire per  permettere il monitoraggio della psicopatologia, ma nessuna è adatta per l’analisi della psicopatologia. Infine, riguardare quello che è successo nella prima parte della giornata è spesso faticoso perché richiede un numero elevato di clic e, a causa del piccolo schermo, è difficile avere un quadro d’insieme della giornata.

I pro ei contro l’uso delle schede di monitoraggio scritte e delle apps dipende quindi in gran parte dal loro scopo. Se l’obiettivo è il monitoraggio della psicopatologia o il registrare solo ciò che la persona sta mangiando (cioè, l’obiettivo è fare un “diario alimentare”), le apps hanno alcuni vantaggi rispetto alla registrazione scritta. Il contrario vale per l’analisi della psicopatologia.

È importante inoltre non dimenticare che la grande maggioranza degli utenti di apps usa la registrazione spontaneamente e non nel contesto di un trattamento. Il monitoraggio spontaneo è utile, innocuo o ci sono dei motivi per essere preoccupati? Un interesse eccessivo nei confronti dell’alimentazione e dei fenomeni connessi, secondo Fairburn e Rothwell, è una caratteristica specifica delle persone con disturbi dell’alimentazione e spesso questo si estende al tenere delle note dettagliate del cibo assunto, dell’esercizio eseguito, del peso corporeo e di altri fenomeni. Le apps forniscono ai pazienti un nuovo modo di fare questo monitoraggio. Ciò è probabilmente innocuo, ma solo se non incoraggia comportamenti alimentari disturbati o non ritarda la richiesta di un aiuto specialistico.

Lo scambio di informazioni con altre persone che soffrono di disturbi dell’alimentazione, una proprietà presente in diverse applicazioni, secondo Fairburn e Rothwell, non è necessariamente benigna perché una caratteristica ben nota delle persone con disturbi dell’alimentazione è la competitività e, in particolare, il competere nel fare la dieta, l’esercizio fisico e il perdere peso. Mettere gli utenti in contatto l’uno con l’altro potrebbe, infatti, intensificare tali comportamenti e favorire l’acquisizione di nuove forme di psicopatologia.

La possibilità di scambiare informazioni tra le apps del paziente e quella del terapeuta è un’altra funzione che potrebbe interessare i clinici. Questa proprietà è peculiare della app Recovery Record che permette il tracciamento continuo della psicopatologia dei pazienti ed è accompagnata dalla possibilità di scambiare messaggi in tempo reale tra paziente e terapeuta. Questo, secondo Fairburn e Rothwell, ha però dei possibili inconvenienti sia per i terapeuti, che dovrebbero essere disponibili a sentire i loro pazienti 24 ore al giorno, sia per i pazienti perché li può portare ad essere troppo dipendenti dal terapeuta per affrontare i loro problemi.

Gli autori inglesi, partendo dal punto di vista della pratica clinica, suggeriscono che nell’ambito della valutazione di routine, i medici dovrebbero chiedere ai pazienti se usano delle apps, perché tramite esse possono avere ottenuto informazioni, feedback o consigli inaffidabili ed essere impegnati in forme inutili e potenzialmente pericolose di comunicazione con altri malati. I terapeuti possono considerare di utilizzare le apps con i loro pazienti perché sono in grado di tracciare i cambiamenti della psicopatologia (per es. i cambiamenti nella frequenza degli episodi bulimici e di vomito autoindotto), ma non bisogna dimenticare che la registrazione di questi comportamenti utilizzando le apps richiede molto impegno e non è necessariamente benigna. Purtroppo, nessuna delle applicazioni esistenti è in grado di fare un’analisi della psicopatologia e per tale motivo i terapeuti che usano la terapia cognitivo comportamentale, in particolare, troveranno che le apps sono uno scarso sostituto delle tradizionali schede di monitoraggio scritte.

La seconda serie di conclusioni di Fairburn e Rothwell riguarda i ricercatori. Le apps vanno studiate in dettaglio e la loro validità e utilità clinica vanno valutate perché non sono state ancora determinate. Allo stesso modo, non ci sono stati studi non pubblicati sugli effetti terapeutici delle apps per i disturbi dell’alimentazione e pochissimi sono quelli eseguiti sulla salute mentale in generale. Le apps possono essere usate nella terapia in vari modi; per esempio, potrebbero potenziare il trattamento vis-à-vis rendendolo più efficace ed efficiente, o fornire un intervento completo individualizzato. Quest’ultima possibilità è particolarmente interessante perché avrebbe enormi vantaggi in termini di scalabilità e di accesso.

La conclusione finale riguarda le organizzazioni che si occupano di disturbi dell’alimentazione che, secondo gli autori inglesi, potrebbero mantenere un elenco aggiornato delle principali apps e specificare i loro punti di forza e debolezza e i loro rischi potenziali, una fonte di notizie che sarebbe di grande valore sia per gli utenti sia per i terapeuti.