Un modello di gestione clinica dei disturbi dell’alimentazione

A cura di Riccardo Dalle Grave

Negli ultimi anni sono stati compiuti progressi significativi nella gestione dei disturbi dell’alimentazione con lo sviluppo di trattamenti psicologici che hanno dimostrato la loro efficacia in numerosi trial clinici e con l’implementazione di un modello di cura che si basa su due principi generali (Donini et al., 2010): (i) la gestione multidisciplinare; (ii) la molteplicità̀ dei contesti di cura.

LA GESTIONE MULTIDISCIPLINARE

I disturbi dell’alimentazione sono patologie complesse che richiedano una gestione effettuata da un’equipe multidisciplinare che sia in grado di effettuare una valutazione diagnostica multidimensionale (psichiatrica, psicologica, internistica e nutrizionale) e che possa proporre modelli di trattamento in grado di affrontare la psicopatologia specifica del disturbo e l’eventuale comorbilità psichiatrica, internistica e nutrizionale associata.

Questo comporta l’attivazione di un’equipe specialistica multiprofessionale la cui composizione, pur potendo variare a seconda delle risorse locali, dell’intensità dell’intervento e dell’esperienza del centro clinico, dovrebbe includere una combinazione delle seguenti figure professionali (De Virgilio et al., 2012; Ministero della Salute, 2013): psichiatra, medico di area internistica/nutrizionale, psicologo, dietista/nutrizionista, fisioterapisti, educatori, tecnici della riabilitazione psichiatrica e infermieri.

L’equipe dovrebbe guidata da un case manager che abbia le competenze necessarie per coordinare le varie figure professionali nella valutazione diagnostica, indirizzare il paziente a percorsi terapeutici concordati con l’intera equipe e valutare periodicamente i risultati del trattamento.

Il trattamento può essere somministrato da un singolo terapeuta, se si applicano alcuni trattamenti psicologici ambulatoriali specifici per i disturbi dell’alimentazione evidence-based (come la terapia comportamentale migliorata o CBT-E e la psicoterapia interpersonale o IPT), oppure da terapeuti multipli se è necessario affrontare la presenza di comorbilità associata alla psicopatologia del disturbo dell’alimentazione oppure se il paziente è trattato con modalità intensive di cura, come il trattamento ambulatoriale intensivo, il  day-hospital o il ricovero riabilitativo. In ogni caso è opportuno che il paziente, anche se sta seguendo un trattamento psicologico individuale evidence-based, sia visto periodicamente dal case manager o da un altro membro del team per valutare l’andamento del trattamento, la presenza di eventuali comorbilità che richiedono interventi aggiuntivi (per es. nutrizionali, psichiatrici, internistici) e la necessità di implementare trattamenti più intensivi.

Vantaggi e svantaggi dell’approccio multidisciplinare

L’intervento multidisciplinare non è mai stato testato in studi randomizzati e controllati e, sebbene sia inevitabile in pazienti gravemente malnutriti e complessi e in contesti di cura intensivi (per es. ricovero o day-hospital), presenta vantaggi e svantaggi (Dalle Grave, 2015).

Il maggiore vantaggio dell’approccio multidisciplinare è la presenza di clinici con multiple competenze che può facilitare la valutazione e la gestione di pazienti complicati con gravi problemi medici e psichiatrici coesistenti al disturbo dell’alimentazione.

Gli svantaggi possono essere divisi in due categorie principali di problemi. Primo, un trattamento con terapeuti multipli incoraggia il paziente a ripartire il suo problema e a parlare di problemi specifici con specifici terapeuti. Il risultato è che nessun terapeuta osserva e apprezza l’intero quadro clinico del paziente. Secondo, la somministrazione di un trattamento da parte di terapeuti che condividono la loro conoscenza senza un modello teorico e clinico condiviso facilita la somministrazione di informazioni contradditorie ai pazienti sul loro disturbo e sulle strategie per affrontarlo. Questo può creare confusione nei pazienti sui problemi da affrontare per superare il disturbo dell’alimentazione e far sviluppare il senso di non essere in controllo durante il trattamento. Inoltre, può aumentare il rischio di divisioni e conflittualità tra i membri dell’équipe che possono avere convinzioni diverse sulle modalità di cura e sui problemi che devono essere affrontati; la divisione e la conflittualità dell’équipe possono essere utilizzate dai pazienti per aumentare la loro resistenza alla cura. Infine, sono modelli di trattamento difficili da valutate, replicare e da disseminare.

Strategie per migliorare il lavoro di equipe

Per evitare i problemi descritti sopra è auspicabile che l’intera equipe riceva una formazione sul modello di trattamento praticato ed è fondamentale che i terapeuti, pur mantenendo i loro ruoli professionali specifici, condividano la stessa filosofia e utilizzino un linguaggio comune con i pazienti (Ministero della Salute, 2013).

È fondamentale anche programmare riunioni di equipe per migliorare la coesione dell’equipe, formulare gli obiettivi del trattamento, sviluppare la conoscenza di ciascun paziente, chiarire i ruoli dei vari terapeuti, monitorare la fedeltà ai protocolli di cura, condividere le conoscenze e gli aggiornamenti sui disturbi dell’alimentazione.

Può essere anche utile pianificare delle supervisioni con esperti esterni per aggiornare l’equipe sulle più moderne strategie e procedure di trattamento dei disturbi dell’alimentazione, per verificare se le aree di intervento applicate siano coerenti e perseguano obiettivi comuni e per condividere ed elaborare i vissuti dei singoli operatori.

Infine, è auspicabile sviluppare un sistema informatico di raccolta dei dati clinici del paziente per valutare gli esisti a breve e a lungo termine dell’intervento, condizione essenziale per comprendere i punti di forza e di debolezza del trattamento applicato e per apportare dei miglioramenti ai percorsi di cura.

I LIVELLI DI INTERVENTO

Il luogo ideale per il trattamento dei disturbi dell’alimentazione è il contesto ambulatoriale perché non interrompe la vita del paziente e i cambiamenti effettuati tendono a persistere perché conseguiti dal paziente nel suo ambiente abituale di vita (NICE, 2004). Purtroppo, circa il 30% dei pazienti non risponde al trattamento ambulatoriale e ha bisogno di cure più intensive. Per tale motivo è necessario sviluppare un sistema a rete che prevede un approccio a passi successivi in cui la maggior parte dei pazienti dovrebbe iniziare il percorso terapeutico al livello meno intensivo di cura e accedere ai trattamenti più intensivi in caso di mancato miglioramento, secondo un modello a passi successivi.

Nella cura dei disturbi dell’alimentazione sono disponibili in Italia cinque livelli d’intervento (Donini et al., 2010; Ministero della Salute, 2013):

  • Primo livello: medico di medicina generale o pediatra di libera scelta
  • Secondo livello: terapia ambulatoriale specialistica
  • Terzo livello: terapia ambulatoriale intensiva o centro diurno o day hospital (diagnostico/terapeutico/riabilitativo),
  • Quarto livello: riabilitazione intensiva residenziale (cod. 56 o ex art. 26)
  • Quinto livello: ricoveri H24 (ordinari e d’emergenza).

La rete assistenziale va articolata sia longitudinalmente che trasversalmente (Figura 1) (De Virgilio et al., 2012; Donini et al., 2010):

  • Longitudinalmente perché un paziente può aver bisogno, durante il decorso del disturbo dell’alimentazione, di eterogenee modalità assistenziali in relazione all’andamento della malattia e alla presenza di complicanze internistiche e/o psichiatriche.
  • Trasversalmente perché il paziente con disturbi dell’alimentazione, in relazione al grado di comorbilità-fragilità-disabilità, può giovarsi dell’uno o dell’altro nodo della rete assistenziale.

Livelli interventi DA

Figura 1. I cinque livelli d’intervento dei disturbi dell’alimentazione disponibili in Italia

Medico di medicina generale o pediatra di libera scelta

Il medico di medicina generale e il pediatra di libera scelta possono giocare un ruolo cruciale nella rete di gestione dei disturbi dell’alimentazione nell’identificazione precoce dei nuovi casi, nella valutazione del rischio fisico associato, nell’intervento motivazionale ed educativo, nell’invio del paziente a un centro specialistico e nel monitoraggio del paziente durante la cura specialistica e il follow-up (Ministero della Salute, 2013).

Identificazione di nuovi casi

Gli studi disponibili indicano che meno della metà dei casi di disturbi dell’alimentazione sono identificati a livello di cura primaria. Nonostante ciò, i pazienti affetti da disturbi dell’alimentazione consultano il medico di famiglia frequentemente prima di ricevere la diagnosi per un’ampia varietà di sintomi gastrointestinali, ginecologici e psicologici che potrebbero, se accuratamente valutati, far sospettare la diagnosi di un disturbo dell’alimentazione.

L’identificazione precoce dei disturbi dell’alimentazione è importante perché può aiutare il paziente a iniziare una cura più rapidamente e, come dimostrato da alcune ricerche, migliorare la prognosi di questa psicopatologia. I medici che operano al primo livello di cura sono in una buona posizione per identificare i pazienti che presentano i prodromi o i primi sintomi del disturbo dell’alimentazione. L’uso di alcuni questionari semplici di screening può facilitare questo processo, ma il più efficace strumento è che il medico pensi alla possibilità che il paziente possa avere un disturbo dell’alimentazione.

In concreto, non è pratico né conveniente che il medico di medicina generale esegua uno screening per i disturbi dell’alimentazione a tutti i suoi assistiti, perché la loro prevalenza nella popolazione generale è bassa. È più utile, invece, che effettui uno screening in ogni nuovo paziente con un paio di domande durante la raccolta dell’anamnesi – per esempio: “Pensa di avere un problema alimentare?” e “Si preoccupa eccessivamente del peso e della forma del suo corpo?”. Se il paziente risponde in modo affermativo a una di queste due domande, il medico dovrebbe chiedere, in modo empatico e non giudicante, quali sono i comportamenti che adotta per controllare il peso e la forma del suo corpo.

I gruppi ad alto rischio che il medico di medicina generale e il pediatra di libera dovrebbero monitorare sono gli adolescenti (< 16 anni) e i pazienti con una o più delle seguenti caratteristiche: IMC basso o elevato, preoccupazioni per il peso e la forma del corpo, disturbi mestruali o amenorrea sintomi dispeptici e problemi psicologici

I segnali di allarme che possono far sospettare al medico la presenza di un disturbo dell’alimentazione sono la presenza di perdita di peso importante, la paura irragionevole di ingrassare, le preoccupazioni per il peso e la forma del corpo, l’adozione di regole dietetiche estreme e rigide, in particolare quando queste manifestazioni sono associati a cambiamento dell’umore, isolamento sociale, ansia, disturbi gastrointestinali.

Valutazione dello stato fisico

Una volta confermato il sospetto di un possibile disturbo dell’alimentazione, il medico di medicina generale dovrebbe valutare il rischio fisico del paziente attraverso un accurato esame obiettivo e la prescrizione di esami bioumorali e strumentali (vedi Tabella 1)

L’esame obiettivo dovrebbe includere:

  • Misurazione del peso e dell’altezza. Il tasso di perdita di peso negli ultimi tre mesi è un importante indicatore da valutare e una perdita di peso > 1 kg la settimana per varie settimane può porre le indicazioni per un ricovero urgente.
  • Misurazione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. La presenza di bradicardia marcata (per es. < 50 al minuto) e di grave ipotensione (per es. pressione arteriosa massima < 80 mmHg) indicano la presenza di rischio fisico. Spesso è presente ipotensione posturale.
  • Misurazione della temperatura corporea. I pazienti malnutriti hanno in genere le mani e i piedi freddi e una temperatura corporea inferiore ai 36 °C.
  • Esame delle estremità: la presenza di acrocianosi, palmi delle mani e dei piedi di colore giallo-arancio ed edema sono segni di grave malnutrizione.
  • Auscultazione cardiaca: la presenza di battiti irregolari in un paziente con disturbo dell’alimentazione indica la presenza di rischio fisico.

Tabella 1. Esami di esami bioumorali e strumentali da prescrive nei pazienti affetti da disturbi dell’alimentazione

Esami bioumorali

  • Emocromo, reticolocitemia
  • Velocità di eritrosedimentazione (VES), proteina C reattiva
  • Transaminasi
  • Colinesterasi
  • Azotemia, creatininemia
  • Calcemia, fosforemia, magnesiemia, potassiemia, sodiemia, cloremia
  • Ferritinemia, transferrinemia
  • Albuminemia, prealbuminemia
  • Colesterolemia totale
  • Ormone tireotropo (TSH)
  • Estradiolo, testosterone
  • Esame urine

Esami strumentali

  • Elettrocardiogramma
  • Pressione arteriosa
  • Densitometria a doppio raggio X (nei pazienti con amenorrea > 6 mesi e/o indice di massa corporea < 15,0 kg/m2)

Intervento motivazionale ed educativo

I disturbi dell’alimentazione sono patologie egosintoniche: i soggetti colpiti non li considerano spesso un problema e, soprattutto nelle fasi iniziali, sono contenti del dimagrimento raggiunto e del loro controllo alimentare. In questi ultimi anni, fortunatamente, sono stati messi a punto specifici interventi e procedure per favorire la motivazione dei pazienti affetti da disturbo dell’alimentazione. Il medico di medicina generale e il pediatra di libera scelta non dovrebbero mai criticare il paziente per il suo comportamento, ma aiutarlo in modo non giudicante ad analizzare il significato del suo comportamento, valutando, a breve e a lungo termine, i vantaggi e gli svantaggi che ha ottenuto dalla perdita di peso e i benefici e i costi che potrà avere da un eventuale cambiamento. Altre domande che possono essere di aiuto sono le seguenti: “Mi piacerebbe capire com’è la tua vita attuale… Come vanno le cose? Sei felice? Puoi fare quello che fanno le altre persone? Puoi lasciarti andare ed essere spontaneo? C’è qualcosa che ti piacerebbe che fosse diverso? … Realmente? Hai considerato tutte le cose? Il colloquio motivazionale deve essere affiancato da un intervento educativo che informi in modo scientifico e non terroristico il paziente dei rischi medici e psicologici del suo disturbo, delle opzioni terapeutiche disponibili e dei positivi risultati che possono ottenere.

Invio ai centri di cura specialistici

Il medico di medicina generale e il pediatra di libera scelta dovrebbero essere in rete e avere la possibilità di comunicare facilmente con i centri di riferimento dei disturbi dell’alimentazione per richiedere una valutazione specialistica nel caso abbiano accertato la presenza o abbiano il sospetto di un disturbo dell’alimentazione in un loro assistito.

Monitoraggio del paziente durante il trattamento specialistico e il follow-up

Nel caso la gestione del paziente con disturbo dell’alimentazione sia condivisa tra il medico di medicina generale e il centro di cura secondario, va fatto un chiaro accordo tra i professionisti su che ha la responsabilità di monitorare e gestire il rischio fisico del paziente. Tale accordo dovrebbe essere condiviso anche con il paziente e i suoi familiari.  Il medico di medicina e il pediatra di libera scelta , in ogni caso, dovrebbero rinforzare il paziente a impegnarsi e ad essere perseverante nel seguire con impegno il trattamento specialistico intrapreso. È anche consigliabile che siano mantenuti contatti periodici tra lo specialista e il medico generale qualora il paziente presenti una scarsa adesione al trattamento.

Durante la remissione dal disturbo dell’alimentazione, il paziente può arrivare alla osservazione del medico generale e del pediatra di libera scelta. In questi casi il medico dovrebbe monitorare il peso, il comportamento alimentare e le attitudini nei confronti del peso e della forma del corpo del paziente e, nel caso riaffiorassero segnali di riattivazione del disturbo dell’alimentazione, incoraggiarlo ad affrontarli prontamente per evitare la ricaduta.

 Terapia ambulatoriale specialistica

La terapia ambulatoriale specialistica, sebbene vada gestita da un’equipe multidisciplinare che permetta di eseguire una valutazione diagnostica multidimensionale (vedi sopra) per valutare il livello di intervento più appropriato per il paziente e per gestire le eventuali comorbilità associate al disturbo dell’alimentazione, è il luogo ideale per applicare le terapie evdence-based attualmente disponibili.

Trattamenti farmacologici

Il ruolo dei farmaci nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione è limitato (Hay et al., 2014; NICE, 2004). Per l’anoressia nervosa non ci sono trattamenti farmacologici supportati empiricamente, sebbene siano stati testati numerosi farmaci, come gli antidepressivi, gli antistaminici e recentemente gli antipsicotici atipici, ma nessuno ha mostrato di avere un effetto clinico utile nel migliorare la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione.

La situazione è diversa per la bulimia nervosa, dove gli antidepressivi, in particolare la fluoxetina a 60 mg al giorno, producono una diminuzione della frequenza degli episodi di abbuffata, sebbene non sia chiaro se questo effetto sia duraturo (NICE, 2004).

Per il disturbo da binge-eating numerosi farmaci (per es. inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, topiramato e bupropione) si sono dimostrati superiori al placebo nel ridurre gli episodi di abbuffata a breve termine (Brownley et al., 2016). Non ci sono invece studi che abbiano dimostrino l’efficacia a lungo termine della terapia farmacologica per il disturbo da binge-eating. Il topiramato è l’unico farmaco che ha mostrato effetti positivi sia sul miglioramento della psicopatologia sia sulla perdita di peso a breve termine, ma i suoi importanti effetti collaterali ne limitano l’applicazione clinica. Negli USA la lisdexamfetamina dimesilato (farmaco non disponibile in Italia) è stata recentemente approvata per il trattamento del disturbo da binge-eating sulla base dei risultati positivi ottenuti dal farmaco nella riduzione degli episodi di abbuffate in tre trial randomizzati e controllati di “solo” 12 settimane di trattamento (McElroy et al., 2015). Il farmaco è uno stimolante che non è indicato per la perdita di peso e ha un alto rischio di abuso/dipendenza.

Trattamenti psicologici

I principali trattamenti evidence-based per i disturbi dell’alimentazione, la cui efficacia è stata dimostrata da rigorosi studi randomizzati e controllati, sono di natura psicologica e sono stati progettati principalmente per essere somministrati a livello ambulatoriale (vedi Tabella 2).

Nei paragrafi seguenti sono descritte le psicoterapie che hanno dimostrato di essere efficaci nelle varie categorie diagnostiche dei disturbi dell’alimentazione e i loro effetti.

Bulimia nervosa

Questo disturbo, originariamente descritto come “intrattabile”, può essere curato con successo da una forma specifica di terapia cognitivo comportamentale (CBT-BN), sviluppata presso l’università di Oxford da Fairburn e collaboratori. La CBT-BN è stato il primo trattamento psicologico (per qualsiasi condizione) raccomandato come intervento di prima scelta con livello di evidenza “A” dalle linee guida NICE e successivamente da molte altre linee guida nazionali (NICE, 2004).

Tabella 2. Principali trattamenti psicologici evidence-based per i disturbi dell’alimentazione

AN BN BED ADA
Adulti CBT-E** CBT-E*** CBT-E*** CBT-E***
SSCM** IPT** GSH*** IPT*
IPT**
Adolescenti FBT*** FBT** CBT-E* CBT-E*
CBT-E* CBT-E*

AN = anoressia nervosa; BN = bulimia nervosa; BED = disturbo da binge-eating; ADA = altri disturbi dell’alimentazione.

CBT-E = terapia cognitivo comportamentale migliorata; SSCM = gestione clinica specialistica supportiva; IPT = psicoterapia interpersonale; GSH = autoaiuto guidato; FBT = trattamento basato sulla famiglia

*** = efficacia dimostrata da numerosi studio randomizzati e controllato; **= efficacia dimostrata in pochi studi randomizzati e controllati; * = efficacia dimostrata da studi di coorte.

Disturbo da binge-eating

C’è un emergente corpo di ricerca sul trattamento del disturbo da binge-eating.  Gli studi effettuati indicano che un adattamento della CBT-BN e la psicoterapia interpersonale (IPT) producono una riduzione a breve e lungo termine degli episodi di abbuffata e della psicopatologia associata al disturbo, ma non hanno un effetto significativo sulla perdita di peso (Brownley et al., 2016). Il trattamento comportamentale per la perdita di peso (BWL) produce invece una riduzione degli episodi di abbuffata associata a una modesta perdita di peso. Risultati promettenti sulla riduzione degli episodi di abbuffata, ma non sulla perdita di peso, sono stati anche ottenuti dall’auto-aiuto guidato basato su manuali derivati dalla CBT-BN (Brownley et al., 2016).

Tutti i disturbi dell’alimentazione non sottopeso

Recentemente la CBT-BN è stata superata da una versione transdiagnostica migliorata del trattamento, chiamata CBT-E, che è stata ideata per affrontare tutte le categorie diagnostiche dei disturbi dell’alimentazione (Fairburn, 2008). Il trattamento, condotto da un “unico terapeuta”, affronta i meccanismi comuni di mantenimento che riflettano la realtà clinica di una psicopatologia condivisa ed evolvente dei disturbi dell’alimentazione, non la diagnosi DSM, ed è individualizzata per affrontare la psicopatologia operante nel singolo paziente. Il trattamento sembra essere più potente della CBT-BN e determina una piena remissione della psicopatologia del disturbo dell’alimentazione in circa i due terzi dei pazienti non sottopeso (cioè quelli affetti da bulimia nervosa, disturbo da binge-eating e altri disturbi dell’alimentazione) che hanno una durata media del disturbo di nove anni (Fairburn et al., 2009). Simili risultati sono stati ottenuti in studi osservazionali eseguiti in setting clinici del mondo reale. Infine, la CBT-E è risultata più efficace nel determinare la remissione degli episodi di abbuffata a fine del trattamento e al follow-up della IPT e della psicoterapia psicoanalitica (Fairburn et al., 2015; Poulsen et al., 2014).

Anoressia nervosa

Gli studi sul trattamento degli adulti affetti da anoressia nervosa sono pochi. In parte questo è dovuto a problemi logistici, tra cui la relativa rarità del disturbo e la necessità di eseguire trattamenti di lunga durata. Alcuni trattamenti, comunque, hanno qualche evidenza di efficacia come la CBT, la CBT-E, la terapia cognitivo interpersonale (MANTRA), la psicoterapia psicodinamica focale (PP) e la gestione clinica specialistica supportiva (SSCM), una combinazione di educazione, gestione clinica generale e psicoterapia supportiva (Hay et al., 2014). Due studi controllati e randomizzati recenti meritano di essere descritti.

L’ANTOP study ha confrontato una forma allargata di CBT-E con la PP e un intervento “usual care” (UC) ottimizzato (Zipfel et al., 2014). Alla fine del trattamento l’indice di massa corporea è migliorato significativamente in tutti e tre i gruppi, senza differenze. La stessa cosa è successa a 12 mesi di follow-up, dove l’IMC ha continuato ad aumentare parallelamente nei tre gruppi. Lo studio ha però due limiti importanti. Il primo riguarda la validità interna, perché il trattamento somministrato differisce in modo sostanziale dalla CBT-E e i terapeuti non hanno ricevuto una formazione o una supervisione da esperti nella CBT-E. Il secondo riguarda il modo in cui i pazienti sono stati trattati durante il percorso terapeutico; circa un terzo dei pazienti è stato infatti ospedalizzati per un lungo periodo e inclusi nell’outcome, fatto che non permette di valutare l’efficacia dei singoli trattamenti psicologici applicati e di utilizzare i risultati dello studio come linea guida per la scelta delle terapie da parte dei clinici.

Lo SWAN Study è un trial randomizzato e controllato che ha confrontato la CBT-E, il MANTA e lo SSCM. I pazienti allocati alla CBT-E hanno raggiunto un IMC medio significativamente superiore rispetto al SSCM e al MANTRA sia alla fine del trattamento sia a 6 e 12 mesi di follow-up (Byrne, 2015). La percentuale di pazienti che ha raggiunto un peso salutare a 12 mesi di follow-up è stata circa il 50% in quelli trattati con ka CBT-E e inferiore al 30% in quelli trattati con il SSCM e il MANTRA. I risultati ottenuti dallo SWAN Study replicano quelli dell’UK-Italy study che ha valutato una corte di pazienti adulti affetti da anoressia nervosa trattati a Oxford, Leicester e Verona (Fairburn et al., 2013).

Adolescenti

La ricerca sul trattamento degli adolescenti si è focalizzato soprattutto sull’anoressia nervosa. L’unico trattamento evidence-based disponibile è la terapia basata sulla famiglia (FBT) o “Metodo Moudsley”. La FBT è un trattamento “complesso” che richiede il coinvolgimento del paziente e dei genitori ed è somministrato da un terapeuta (psicologo, neuropsichiatra infantile) e un co-terapeuta, un medico pediatra, che vede i pazienti settimanalmente, e l’ospedalizzazione in circa il 15% dei casi. La FBT ha una discreta evidenza di efficacia e raggiunge una risposta piena in circa il 50% dei casi (Lock et al., 2010).

Sfortunatamente la FBT non è accettabile da alcune famiglie e pazienti, è costosa, più della metà dei pazienti non risponde ad esse e molti adolescenti hanno disturbi dell’alimentazione di gravità clinica diversi dall’anoressia nervosa. Queste limitazioni indicano che è necessario sviluppare dei trattamenti alternativi per gli adolescenti.

Una possibile candidata è la CBT-E adattata per gli adolescenti. Due studi eseguiti in Italia hanno, infatti, evidenziato che questo trattamento può essere usata negli adolescenti con risultati promettenti sia in quelli affetti da anoressia nervosa sia d disturbi dell’alimentazione non sottopeso (Dalle Grave, Calugi, Doll, & Fairburn, 2013; Dalle Grave, Calugi, Sartirana, & Fairburn, 2015). Uno studio che confronti direttamente i due trattamenti sarebbe di grande utilità clinica, specialmente per valutare i moderatori di risposata al trattamento che potrebbero emergere allocando i pazienti a questi due trattamenti molto diversi tra loro.

Anoressia nervosa grave e di lunga durata

L’anoressia nervosa grave e di lunga durata è associata a importanti complicanze mediche, come l’oesteoporosi, le anomalie cardiovascolari e le alterazioni strutturali del cervello, elevati livelli di disabilità che danneggino le capacità lavorative, la qualità della vita, ridotta aspettativa di vita e più alta mortalità di qualsiasi malattia mentale. Inoltre costituisce un carico oggettivo importante per i familiari e rappresenta un costo elevato per il Servizio Sanitario Nazionale.

Gli studi di esito sull’anoressia nervosa hanno mostrato che una più lunga durata del disturbo prima del trattamento è un fattore prognostico negativo, ma pochi sono i dati disponibili su come i pazienti rispondono ai trattamenti psicologici evidence-based, come la CBT o la FBT. Alcuni clinici, comunque, hanno suggerito che l’ambivalenza dei pazienti con anoressia nervosa grave e di lunga durata intrecciata con la loro psicopatologia duratura può non renderli idonei a trattamenti orientati alla guarigione come la CBT o la FBT. In alcuni Paesi, come gli USA, il trattamento dei pazienti con anoressia nervosa grave e di lunga durata è rifiutato dalle assicurazioni per la salute e alcuni servizi clinici specialistici del Regno Unito inviano questi pazienti ai servizi psichiatrici generici o a cure palliative.

Alcuni clinici, tenendo in considerazione le difficoltà poste dal trattamento dell’anoressia nervosa grave e di luna durata hanno recentemente proposto un nuovo paradigma suggerendo di spostarsi da un modello di trattamento basato sulla guarigione a uno che non si focalizza sul recupero del peso, ma sul mantenimento del paziente in contatto con i servizi clinici, il miglioramento della qualità della vita, minimizzando il danno e prevenendo ulteriori esperienze terapeutiche di fallimento (Hay & Touyz, 2015).

Un recente studio controllato randomizzato ha confrontato due trattamenti psicologici (CBT e SSCM) adattati per i pazienti con anoressia nervosa grave e di lunga durata, definita così quando il disturbo durava da più di sette anni, che avevano l’obiettivo primario di migliorare le qualità dei pazienti, piuttosto che la riduzione dei sintomi (Touyz et al., 2013). Entrambi i trattamenti hanno determinato un miglioramento significativo della psicopatologia e un basso tasso di drop-out (circa 15%), nonostante l’aumento minimo dell’indice di massa corporea, ma i pazienti trattati con la CBT adattata hanno mostrato al follow-up di 12 mesi una minore psicopatologia del disturbo dell’alimentazione e superiori disponibilità a guarire rispetto a quelli trattati con il SSCM adattato.

Al contrario di questa prospettiva, alcuni resoconti clinici hanno riportato che, anche dopo molti anno di anoressia nervosa, alcuni pazienti possono raggiungere una completa guarigione. Inoltre, u studi eseguiti in Italia hanno dimostrato che i pazienti con anoressia nervosa grave e di lunga durata trattati con la riabilitazione intensiva ospedaliera (vedi sotto) hanno lo stesso tasso di drop-out e di miglioramento a breve e a lungo termine del peso (circa il 67% ha un IMC > 17) e della psicopatologia un anno dopo la dimissione, con un tasso di guarigione di circa il 33% (Calugi, El Ghoch, & Dalle Grave, 2017).

I dati italiani indicano che l’intensificazione del trattamento e il ricovero riabilitativo possono essere una strategia efficace anche per i pazienti affetti da anoressia nervosa grave di lunga durata e che i trattamenti non focalizzati sul recupero del peso, finalizzati principalmente alla presa in carico dei pazienti e al miglioramento della loro qualità della vita, andrebbero considerati solo dopo i ripetuti fallimenti di trattamenti ambulatoriali e riabilitativi ospedalieri ben somministrarti e non solo sulla base della durata del disturbo dell’alimentazione.

Coinvolgimento dei familiari e di altre persone significative nel trattamento

Il coinvolgimento dei genitori o del partner o di altre persone significative, con il consenso del paziente adulto, va considerato in due casi: (i) se possono essere d’aiuto al paziente nell’attuare alcuni cambiamenti (per es. aiutandolo a gestire i pasti e le difficoltà quotidiane) e (ii) se rendono difficoltoso il cambiamento (per es. perché fanno commenti critici sul modo di mangiare o sull’aspetto fisico del paziente).  Se le altre persone significative sono coinvolte, va spiegato loro, possibilmente in presenza del paziente, il razionale dell’intervento psicoterapico e nutrizionale, che cosa si sta cercando di fare al momento, prestando molta attenzione al loro punto di vista, rispondendo alle loro domande e affrontando i problemi che emergono. Poi va discusso come possono essere d’aiuto. L’aiuto delle altre persone significative, che deve essere sempre concordato e accettato del paziente, varia da caso a caso e può essere fornito nella gestione dei pasti, nel creare un ambiente familiare sereno e caldo, evitando commenti critici, ostili e un eccessivo controllo o nei momenti di crisi.

Il coinvolgimento dei genitori nel trattamento dei pazienti adolescenti è sempre consigliabile per i seguenti motivi (Ministero della Salute, 2013):

  • i genitori hanno la responsabilità e il diritto di prendere decisioni importanti per quanto riguarda il trattamento dei loro figli adolescenti e tale trattamento non può essere avviato senza il loro consenso informato;
  • studi controllati hanno fornito alcune prove empiriche di come il coinvolgimento della famiglia rappresenti un fattore positivo per il trattamento dell’anoressia nervosa negli adolescenti;
  • alcuni dati indicano come la reazione dei genitori ai sintomi di un adolescente con disturbo dell’alimentazione possa influenzare positivamente o negativamente l’esito del trattamento;
  • i genitori possono essere coinvolti nel trattamento per fornire assistenza agli adolescenti durante i pasti;
  • i genitori possono creare un ambiente che facilita il cambiamento degli adolescenti stessi.

In generale è consigliabile fare sempre un incontro solo con i genitori per valutare l’ambiente familiare e in particolare: (i) la loro conoscenza dei sui disturbi dell’alimentazione in generale; (ii) la presenza di interpretazioni disfunzionali nei confronti del comportamento alimentare disturbato del paziente (per es. pensare che il disturbo dell’alimentazione sia autoprovocato o una forma di autodistruzione conseguente delle loro scarse abilità genitoriali); (iii) la presenza di reazioni disfunzionali al comportamento alimentare disturbato del paziente; (iv) gli effetti delle loro reazioni sul comportamento del paziente; (vi) la presenza nell’ambiente di casa di stimoli che promuovono la dieta e aumentano la preoccupazione per il peso e la forma del corpo.

I genitori dovrebbero essere successivamente educati sui disturbi dell’alimentazione e sul trattamento e, in base al tipo di terapia eseguita il loro ruolo può essere centrale nell’aiutare la figlia o il figlio a consumare i pasti, come è previsto dalla FBT, oppure di supporto ad applicare alcune procedure del trattamento, come è previsto dalla CBT-E In ogni caso, indipendentemente dal modello di terapia attuato, è raccomandabile che i genitori siano aiutare ad evitare le reazioni caratterizzate da un’elevata emotività espressa, come i commenti critici, l’ostilità e l’ipercoinvolgimento emotivo, ed aumentare quelle caratterizzate da bassa emotività espressa, come i commenti positivi, perché l’elevata emotività espressa è associata a un aumento del tasso di drop-out e peggiore risposta al trattamento.

 Terapia ambulatoriale intensiva o centro diurno o day hospital

La terapia ambulatoriale intensiva, somministrabile anche in un centro diurno o in day-hospital, è un trattamento per i pazienti che non rispondono al trattamento ambulatoriale convenzionale (Ministero della Salute, 2013).

Indicazioni

Il trattamento è indicato per pazienti che hanno difficoltà a modificare le loro abitudini alimentari con la terapia ambulatoriale standard. Esempi includono pazienti sottopeso che non riescono a recuperare peso oppure pazienti non sottopeso con elevata frequenza di episodi di abbuffata e vomito autoindotto che non sono in grado di modificare le abitudini alimentari dopo alcune settimane di cura.  In rari casi il trattamento può essere indicato come prima forma di cura. Esempi includono pazienti con lunga durata del disturbo dell’alimentazione che non hanno risposto a numerosi trattamenti ambulatoriali ben condotti; pazienti adolescenti sottopeso che non possono ricevere un supporto genitoriale durante i pasti; pazienti che apertamente affermano durante gli incontri di valutazione diagnostica che non saranno in grado di affrontare i pasti senza assistenza.

Controindicazioni

La terapia ambulatoriale intensiva è controindicata nei pazienti in condizioni di rischio fisico moderato-grave, che fanno uso improprio di sostanze continuativo, con depressione maggiore associato a rischio suicidario e psicosi acuta.

Obiettivi

A differenza del ricovero riabilitativo, che ha l’obiettivo di ottenere la normalizzazione del peso e il massimo cambiamento della psicopatologia specifica (per es. normalizzare il peso e diminuire l’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo) , la terapia ambulatoriale intensiva dovrebbe essere usata per affrontare specifici ostacoli al trattamento ambulatoriale standard (per es. incapacità di affrontare la restrizione dietetica calorica e il recupero del peso o di ridurre la frequenza degli episodi bulimici, del vomito autoindotto e dell’esercizio fisico eccessivo e compulsivo). Una volta affrontati con successo questi ostacoli il trattamento può continuare con la terapia ambulatoriale standard.

L’unità

La terapia ambulatoriale dovrebbe essere somministrata preferibilmente in un centro ambulatoriale specializzato per la cura dei disturbi dell’alimentazione. Un setting ambulatoriale è preferibile al setting ospedaliero di day-hospital per i minori costi di gestione e per creare un ambiente non medicalizzato che aiuti i pazienti a sentirsi a suo agio, come a casa. Il centro dovrebbe essere equipaggiato di ambulatori per la psicoterapia e le visite mediche, una cucina (con cucina a gas, forno a micronde, frigorifero con un ampio freezer e lavastoviglie), una sala da pranzo per implementare l’alimentazione assistita (che può essere la stessa cucina), una sala ricreativa con TV, computer, accesso a internet e mobili per poter studiare.

L’equipe ambulatoriale intensiva

La terapia ambulatoriale intensiva va somministrata da un’equipe multidisciplinare composta da medici, psicologi e dietiste. La dietista prepara e assiste i pazienti durante i pasti consumati in ambulatorio e aiuta i pazienti a pianificare il fine settimana e a rivedere i problemi incontrati nei pasti consumati al di fuori dell’ambulatorio. Lo psicologo somministra la psicoterapia e il medico gestisce l’eventuale comorbilità medica e psichiatrica.

Organizzazione generale del trattamento

Il trattamento può durare fino a un massimo di 12 settimane, ma può terminare molto prima se il paziente affronta con successo i fattori chiave responsabili dello scarso progresso con la terapia ambulatoriale standard. Al fine di massimizzare le opportunità per implementare l’alimentazione assistita, i pazienti dovrebbero frequentare l’ambulatorio durante i giorni feriali dalle 13:00 alle 20:00 e il trattamento dovrebbe includere una combinazione simile delle seguenti procedure che da adattate sulla base delle risorse disponibili localmente:

  • Tre pasti assistiti al giorno (pranzo, merenda e cena). Il cibo servito dipende dalle risorse disponibili. La moderna tecnologia permette, comunque, di usare cibo surgelato o preconfezionato che non richiede di essere manipolato. Questo cibo può essere anche fornito al paziente per i pasti da consumare al di fuori dell’ambulatorio. Per aiutare il paziente ad esporsi a cibi di incerto contenuto calorico e a situazioni che prevedono l’alimentazione sociale, può essere utile accompagnare e assistere il paziente a consumare il pasto in pizzeria, al fast-food o al ristorante in alcuni pasti durante la settimana.
  • Due sedute di psicoterapia individuale la settimana.
  • Due sedute con la dietista la settimana.
  • Una visita medica la settimana.
  • Incontri con gli altri significativi (se il paziente adulto lo acconsente – sempre con gli adolescenti) – per discutere come creare un ambiente a casa che faciliti gli sforzi del paziente nel mantenere i cambiamenti dell’alimentazione al di fuori dell’ambulatorio.

Nelle fasi finali della terapia ambulatoriale intensiva il paziente dovrebbe essere incoraggiato a consumare sempre più pasti fuori dall’ambulatorio e il trattamento gradualmente evolve nella terapia ambulatoriale standard.

Vantaggi

La terapia ambulatoriale intensiva ha alcuni vantaggi potenziali rispetto ricovero riabilitativo per ragioni teoriche ed economiche. La struttura dell’intervento e i pasti assistiti possono aiutare i pazienti a superare alcuni ostacoli che non gli permettono di migliorare con la terapia ambulatoriale standard.  L’alto tasso di ricaduta che si verifica dopo un ricovero è probabilmente dovuto in parte al fatto che i cambiamenti avvengono mentre il paziente è in un ambiente protetto dell’ospedale e in parte a causa della interruzione del trattamento che tipicamente si verifica dopo la dimissione. Nessuno di questi due problemi affligge la terapia ambulatoriale intensiva perché il cambiamento si verifica mentre il paziente vive anella propria casa e le sedute continuano con gli stessi terapeuti quando il trattamento evolve nella terapia ambulatoriale standard. Per ridurre al minimo il possibile rischio di deterioramento, tuttavia, i pazienti dovrebbero gradualmente consumare sempre più pasti e spuntini fuori dal centro. Infine i costi del trattamento ambulatoriale intensivo sono significativamente minori del ricovero.

Il trattamento non è però adatto per i pazienti che non riescono a consumare in modo adeguato i pasti a casa durante il fine settimana.

Ricovero ospedaliero di riabilitazione intensiva

La riabilitazione dei disturbi dell’alimentazione è intensiva (cod. 56 o ex art. 26), in quanto la riabilitazione estensiva utilizzata per altri ambiti (per es. geriatrico, ortopedico) non consente l’approccio multidisciplinare e l’intensità di cura (almeno 180 minuti/die) necessari. La riabilitazione intensiva può essere erogata in regime di day-hospital ove realizzabile dal punto logistico e qualora le condizioni generali del paziente lo consentano, oppure in regime di riabilitazione intensiva ospedaliera.

Indicazioni

La riabilitazione intensiva è indica quando:

  • Il livello di gravità e comorbilità è elevato.
  • L’impatto sulla disabilità e sulla qualità di vita del paziente è pesante.
  • Gli interventi da mettere in atto diventano numerosi ed è opportuno – per ragioni sia cliniche che economiche – concentrarli in tempi relativamente brevi secondo un progetto coordinato (case management) (Linee Guida del Ministero della Sanità per le attività di Riabilitazione – GU 30 maggio 1998, n°124).
  • Precedenti percorsi a minore intensità non hanno dato i risultati sperati ed il rischio per lo stato di salute del paziente tende ad aumentare.

Nello specifico ci sono quattro situazioni che indicano la necessità di un ricovero riabilitativo ospedaliero: (i) la mancata risposta a un trattamento ambulatoriale condotto secondo le attuali linee guida; (ii) la presenza di rischio fisico che rende inappropriato il trattamento ambulatoriale; (iii) la presenza di rischio psichiatrico che rende inappropriato il trattamento ambulatoriale; (iv) la presenza di difficoltà psicosociali che rendono inappropriato il trattamento ambulatoriale.

Controindicazioni

Il ricovero riabilitativo intensivo è controindicato nei pazienti con condizioni di rischio fisico elevato, uso improprio di sostanze continuativo, depressione maggiore con rischio suicidario e psicosi acuta.

L’unità di riabilitazione intensiva ospedaliera

La riabilitazione intensiva ospedaliera va eseguita in un reparto specializzato nella cura dei disturbi dell’alimentazione in grado di fornire al paziente un programma riabilitativo che integri la riabilitazione nutrizionale, fisica, psicologica e psichiatrica. In Italia queste strutture sono state sviluppate sia in reparti di riabilitazione intensiva nutrizionale sia in reparti di riabilitazione psichiatrica. Il reparto dovrebbe essere “aperto” per permettere al paziente di essere esposto agli stimoli ambientali che contribuiscono al mantenimento del suo disturbo dell’alimentazione.

L’equipe multidisciplinare

Il trattamento va somministrato da un’equipe multidisciplinare costituita da medici (internisti, nutrizionisti clinici, psichiatri), psicologi, dietisti, fisioterapisti, educatori, infermieri e operatori socio-culturali.

Durata del trattamento

Il trattamento riabilitativo ospedaliero deve avere una durata tale da permettere la normalizzazione del peso corporeo, il miglioramento della psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione e della psicopatologia generale eventualmente associata. Questi obiettivi sono in genere raggiunti in circa 90 giorni.

È utile far seguire al ricovero riabilitativo un periodo di day-hospital per permettere ai pazienti di sperimentare l’esposizione ai fattori stressanti ambientali, di consumare gradualmente i pasti al di fuori del reparto e nello stesso tempo continuare ad avere il supporto di una terapia intensiva.

Valutazione diagnostica

La valutazione diagnostica dei pazienti ricoverati nei reparti di riabilitazione intensiva ospedaliera deve essere multidimensionale ed includere la valutazione della natura e della gravità della psicopatologia del disturbo dell’alimentazione, della psicopatologia generale e del richio fisico (vedi Tabella 1).

Obiettivi e procedure del trattamento

Gli obiettivi e le procedure del trattamento ospedaliero riabilitativo vanno posti sulla base della valutazione diagnostica multidimensionale effettuata all’entrata e la stesura del progetto riabilitativo individuale (vedi Tabella 3).

Tabella 3. Esempio di progetto riabilitativo individuale per i pazienti affetti da disturbi dell’alimentazione

Situazione attuale (sintesi degli elementi salienti relativi a patologia, menomazioni e disabilità).

Outcome globale (esiti complessivi attesi nel lungo termine, oltre il termine del ricovero).

  • Raggiungere la remissione dal disturbo dell’alimentazione.
  • Raggiungere una condizione clinica associata a minimi danni fisici e psicosociali.

Outcome funzionale (esito atteso al termine del ricovero, relativo al set completo di parametri oggetto dei trattamenti erogati nel corso del ricovero).

  • Ottenere un miglioramento della gravità clinica e delle disabilità del disturbo dell’alimentazione correlate che permettano il reinserimento sociale, lavorativo/scolastico del paziente e di effettuare una terapia ambulatoriale.

Outcome specifici (esiti attesi a breve e medio termine, relativi a set di parametri minori o più discreti, ad esempio riferiti al recupero di una funzione).

  • Raggiungere un Indice di Massa Corporea superiore a 19 (nei pazienti sottopeso). Mantenere il peso nell’intervallo di 3 kg (nei pazienti normopeso).
  • Migliorare la psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione (riduzione del 10% all’Eating Disorder Examination).
  • Migliorare la gravità clinica del disturbo dell’alimentazione (riduzione del 10% al Cinical Impairment Assessment).

Area di intervento specifico 

  • Psicoterapia individuale.
  • Elenco obiettivi in ordine di priorità. Aumentare la consapevolezza del disturbo dell’alimentazione e affrontare i principali fattori di mantenimento del disturbo dell’alimentazione.
  • Due sedute individuali la settimana di 50 minuti.
  • Psicologi psicoterapeuti.
  • Psicoterapia di gruppo.
  • Elenco obiettivi in ordine di priorità. Affrontare gli eventi e le emozioni che influenzano l’alimentazione, affrontare l’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo.
  • Due gruppi la settimana di 60 minuti.
  • Psicologi psicoterapeuti.
  • Gruppi psicoeducazionali.
  • Elenco obiettivi in ordine di priorità. Acquisire conoscenze sui disturbi dell’alimentazione, sui meccanismi di mantenimento del disturbo e sulle strategie per affrontarli.
  • Due gruppi la settimana di 60 minuti.
  • Educatori.
  • Riabilitazione nutrizionale
  • Elenco obiettivi in ordine di priorità. Affrontare la restrizione dietetica calorica e cognitiva. Normalizzare il peso corporeo.
  • Quattro pasti assistiti al giorno.
  • Dietisti.
  • Riabilitazione fisica
  • Elenco obiettivi in ordine di priorità. Ottimizzare il recupero della massa magra.
  • Ginnastica medica 30 minuti due volte la settimana.
  • Terapisti della riabilitazione.
  • Gestione delle complicanze mediche/psichiatriche
  • Elenco obiettivi in ordine di priorità. Gestire le complicanze mediche/psichiatriche associate al disturbo dell’alimentazione.
  • Giro medico giornaliero. Terapia farmacologica.
  • Medici internisti-nutrizionisti, medici psichiatri.

 

Programmazione del post-ricovero

La ricaduta dopo la dimissione è uno dei problemi principali associati al trattamento residenziale riabilitativo dei disturbi dell’alimentazione. Questo è dovuto a numerosi motivi tra cui la natura del ricovero, che non espone il paziente agli stimoli ambientali di mantenimento del disturbo dell’alimentazione, la natura persistente della psicopatologia del disturbo dell’alimentazione e la scarsa preparazione del paziente al post-ricovero. Per quanto riguarda quest’ultimo punto dati della ricerca indicano che il tasso di ricaduta dopo un ricovero ha più probabilità di verificarsi se il paziente non riceve un trattamento dopo la dimissione, se il trattamento post-ricovero è concettualmente molto diverso da quello ricevuto dal paziente durante il ricovero e se non si verificano cambiamenti importanti nell’ambiente dove vive il paziente.

Questi dati indicano come prioritario organizzare un passaggio pianificato dalla terapia effettuata nell’unità di riabilitazione alla terapia ambulatoriale post-ricovero nel centro ambulatoriale di riferimento inviante. A tal fine l’unità di riabilitazione deve prendere contatto il centro ambulatoriale di riferimento inviante affinché il paziente possa avere il primo appuntamento per una visita ambulatoriale nella settimana successiva alla data di dimissione. Poiché i dati della ricerca indicano che la maggior frequenza di ricadute post-ricovero accade nel primo e secondo mese dopo la dimissione, il centro ambulatoriale di riferimento inviante, se le sue risorse lo consentono, deve pianificare visite con frequenza bi-settimanale nel primo mese dopo la dimissione o almeno una visita settimanale e un contatto telefonico o via email tra una visita settimanale e l’altra.

Adattamenti da apportare per il ricovero riabilitativo degli adolescenti

Gli adolescenti (età < 18 anni) dovrebbero alloggiare in stanze separate dagli adulti e durante i permessi di uscita, se autorizzati dai genitori, devono essere sempre accompagnati da un adulto. Per l’intero periodo di day-hospital, se non vivono nella loro casa di famiglia, devono alloggiare in camere private o appartamenti con almeno un genitore o un parente designato dai genitori.

Il trattamento adolescenti, oltre alle procedure terapeutiche descritte per i pazienti adulti, dovrebbe sempre prevede tre seguenti procedure aggiuntive: terapia della famiglia, gruppo adolescenti e scuola nell’ospedale.

Esiti del ricovero ospedaliero di riabilitazione intensiva     

Uno studio controllato e randomizzato condotto a Villa Garda, su 80 pazienti consecutivi ricoverati affetti da anoressia nervosa che non avevano risposto al trattamento ambulatoriale, trattati con la riabilitazione intensiva ospedaliera basata sulla CBT-E ha dimostrato che circa il 90% dei pazienti ha completato il trattamento e più dell’85% ha raggiunto un livello peso normale (IMC > 18,5) e oltre il 50% la normalizzazione della psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione valutata con l’intervista EDE.

All’analisi intento-to-treat l’IMC è aumentato da 4,3 (DS 1,7) a 18,9 (DS 1,5). L’IMC medio è diminuito a 17,8 (DS 2.2) a sei mesi, ma si è stabilizzato a 12 mesi. Il calo di peso, comunque, è stata limitata solo ai pazienti adulti e Il 73,9% degli adolescenti aveva un peso normale dopo 12 mesi dalla dimissione. Il miglioramento della psicopatologia specifica dei disturbi dell’alimentazione e della psicopatologia generale è stato mantenuto a sei e 12 mesi di follow-up.

Questi risultati indicano che la riabilitazione intensiva ospedaliera è ben accettata dai pazienti affetti da forme gravi di anoressia nervosa che non hanno risposto ai trattamenti ben intensivi ed è efficace nel produrre la normalizzazione del peso e il miglioramento della psicopatologia del disturbo dell’alimentazione alla fine del trattamento nell’85% dei pazienti. Dopo la dimissione si verifica un lieve calo medio di peso, ma questo è confinato solo ai pazienti adulti.

Ricovero ordinario e di emergenza

Il ricovero ordinario può̀ essere attuato in reparti internistici, per la stabilizzazione medica e il trattamento della malnutrizione grave, o in reparti psichiatrici, per la gestione del rischio suicidario o della comorbilità̀ psichiatrica (Ministero della Salute, 2013). e i trattamenti sanitari obbligatori (TSO).

Il ricovero ordinario di stabilizzazione medica è indicato in caso il paziente presenti una o più parametri di “allerta”, mentre va valutato caso per caso dall’equipe multidisciplinare che lo ha in carico, quando sono presenti uno o più parametri di “preoccupazione” (vedi Tabella 4).

Se possibile il paziente dovrebbe essere ricoverato in reparti internistici in cui sono riservati dei letti per la gestione dei disturbi dell’alimentazione, oppure dove è presente in organico del personale specializzato nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione. I medici e gli infermieri che operano in questi reparti dovrebbero ricevere una formazione specifica per gestire sia le complicanze mediche (per es. refeeding syndrome) sia alcune espressioni della psicopatologia specifica dei disturbi dell’alimentazione (per es. restrizione calorica, esercizio fisico eccessivo e compulsivo, comportamenti di eliminazione).

Il ricovero nei servizi psichiatrici di diagnosi e cura dovrebbe essere limitato a casi di estrema gravità e a quelli in cui è necessario un trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Anche in questi reparti è opportuno che gli operatori ricevano una formazione specifica per affrontare la psicopatologia dell’alimentazione e che abbiano uno stretto contatto con colleghi internisti per gestire le eventuali comorbilità mediche presenti.

Nel ricovero ordinario o di emergenza, se il paziente rifiuta l’alimentazione orale o non è in grado di raggiungere un obiettivo nutrizionale adeguato a superare la fase di instabilità medica, è indicato un intervento di nutrizione artificiale di durata limitata, finalizzato a stabilizzare le condizioni cliniche. In questi casi è necessario il consenso informato del paziente o del suo delegato, secondo le norme del codice deontologico. La nutrizione enterale con sondino naso-gastrico è la prima scelta perché, rispetto alla nutrizione parenterale, è più fisiologica, più sicura, più facile da gestire. Assieme alla nutrizione enterale va, comunque, sempre proposto e favorito un percorso di riabilitazione nutrizionale con alimenti naturali.

Tabella 4. Parametri per valutare il rischio fisico nei disturbi dell’alimentazione

Parametro Preoccupazione Allerta
Nutrizione IMC (kg/m2) < 15 < 12
Perdita peso settimanale (ultime 4) > 0,5 > 1,0
Albumina (g/L) < 35 < 32
Creatinchinasi (U/L) > 170 > 250
Cardiovascolare Pressione sistolica (mmHg) < 90 < 80
Pressione diastolica (mmHg) < 70 < 60
Calo pressione posturale (mmHg) > 10 > 20
Polso (bmin) < 50 < 60
QT (msec) > 450
Temperatura (C°) < 35 < 34,5
Esami bioumorali Globuli bianchi (x 103 mL) < 4,0 < 2,0
Neutrofili (x 103 mL) < 1,5 < 1,0
Hb (g/dL) < 11,0 < 9,0
Piastrine (x 103 mL) < 130 < 110
K+ (mEq/L) < 3,5 < 3,0
Na+ (mEq/L) < 135 < 130
Glucosio (mg/dL) < 3,5 < 2,5
AST (U/L) > 40 > 80
ALT (U/L) > 45

> 90

IMPLEMENTAZIONE DELLA RETE DEI CENTRI DI RIFERIMENTO

In Italia servizi specifici per la cura dei disturbi dell’alimentazione sono pochi e non sono presenti in tutte le aziende sanitarie e solo poche regioni hanno implementato una rete dei centri di riferimento come quella riportata nella figura 2.

Coordinamentio regionale (1)

Figura 2. Esempio di rete regionale per gestione dei disturbi dell’alimentazione

La rete regionale dovrebbe includere un centro di coordinamento regionale che abbia le seguenti funzioni:

  • Osservatorio epidemiologico regionale sui disturbi dell’alimentazione. L’osservatorio dovrebbe valutare la prevalenza e l’incidenza dei disturbi dell’alimentazione nella regione con il fine di stabilirne le variazioni nel corso del tempo, fornire dati attendibile per pianificare la programmazione delle strutture dedicate al loro trattamento e valutare la presenza di potenziali fattori di rischio ambientali su cui poter intervenire.
  • Programmazione, coordinamento e valutazione degli interventi di prevenzione universale, selettiva e mirata. Il centro dovrebbe pianificare e coordinare gli interventi di prevenzione attraverso rapporti con le scuole, con gli insegnanti e con i medici di medicina generale.
  • Coordinamento con la medicina di base, le unità ambulatoriali specialistiche, le unità di riabilitazione intensiva e i reparti di ricovero ordinario. Il centro dovrebbe stabilire dei protocolli con condivisi con i vari livelli di cura che includano:
    • strumenti di valutazione diagnostica per valutare la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione, la psicopatologia generale associata, il grado di danno clinico e l’esito degli interventi;
    • implementazione dei trattamenti evidence-based nelle unità ambulatoriali specialistiche con la pianificazione di corsi di formazione e di supervisioni periodiche di casi clinici.
    • indicazioni e controindicazioni per il trattamento ai vari livelli di cura;
    • modalità di invio alle strutture di riabilitazione intensiva e della dimissione da queste strutture per la continuazione del trattamento a livello ambulatoriale;
    • pianificare periodiche riunioni per ottimizzare il funzionamento della rete regionale
  • Coordinamento con le associazioni dei familiari. Il coordinamento dovrebbe includere la condivisione di informazioni aggiornate sui disturbi dell’alimentazione, sulle loro potenziali cause, sui trattamenti efficaci disponibili condivisione, la diffusione di materiale informativo, e la gestione dei contatti con la stampa e altri mezzi di comunicazione (televisione, internet);
  • Ricerca. Il centro dovrebbe implementare e coordinare progetti di ricerca nel campo dei disturbi dell’alimentazione.

Il centro di coordinamento regionale dovrebbe anche farsi promotore di coordinare la rete in modo tale che siano adottati i principi e le procedure della clinical governance, in cui le varie organizzazioni sanitarie facenti parte della rete dovrebbero essere responsabili del continuo miglioramento della qualità dei loro servizi e della salvaguardia di elevati standard di assistenza attraverso la creazione di un ambiente in cui possa svilupparsi l’eccellenza dell’assistenza sanitaria. I duplici obiettivi della clinical governance sono la promozione integrata della qualità assistenziale e l’efficienza, in relazione alla sostenibilità economica che dovrebbero essere raggiunti utilizzando i seguenti strumenti:

  • Evidence-Based Practice (EBP). Diffonde l’uso delle terapie con la migliore evidenza di efficacia; integra le evidenze nelle decisioni clinico assistenziali,
  • Information and Data Managment. Migliora l’interazione e la comunicazione tra i diversi sistemi informativi aziendali, sviluppando specifici database clinici.
  • Linee Guida e Percorsi Assistenziali. Sviluppa metodologie per l’adattamento locale di linee guida e la costruzione di percorsi assistenziali.
  • Health Technology Assessment. Promuove l’uso di modelli e report internazionali per riorganizzare le modalità di gestione aziendale delle tecnologie sanitarie.
  • Clinical Audit. Identifica le inappropriatezze e i risultati conseguenti al processo di cambiamento, in termini di processo e di esito.
  • Risk Management. Considera l’errore come “difetto del sistema” e non del singolo professionista e implementa programmi aziendali di gestione del rischio clinico.
  • Formazione continua, training, accreditamento professionale. Consolida tra gli operatori sanitari la cultura della formazione continua, intesa come parte integrante della pratica professionale.
  • Research and Development. Diffonde tra i professionisti la cultura e gli strumenti della ricerca clinica e sui servizi sanitari, con particolare enfasi allo sviluppo della ricerca indipendente. Governare le modalità di coinvolgimento dell’Azienda e dei professionisti nella ricerca sponsorizzata, al fine di garantirne utilità sociale, metodologia, etica e integrità.
  • Staff management. Definisce le strategie di management delle equipe per valorizzare le risorse umane, in relazione alle attitudini, conoscenze e competenze di ogni singolo professionista.
  • Partecipazione degli utenti. Coinvolgere i cittadini nella valutazione e nelle modalità di erogazione di servizi e prestazioni sanitarie.

PROBLEMI DA AFFRONTARE

I problemi da affrontare in Italia per riuscire ad offrire ai pazienti la garanzia di essere curati con i migliori trattamenti attualmente disponibili sono molteplici.

In primo luogo, i centri clinici sono distribuiti in Italia a macchia di leopardo, con alcune regioni che sono in grado di fornire ai pazienti tutti i livelli di cura coordinati secondo un modello a rete di centri di riferimenti, mentre in molte altre sono mancanti soprattutto i livelli di cura più intensivi.

In secondo luogo, le opzioni di trattamento offerte ai pazienti affetti da disturbi dell’alimentazione nei servizi clinici esistenti dipendono dalle risorse disponibili e dalla formazione ricevuta da clinici. Anche se sono disponibili trattamenti psicologici evidence-based, come la CBT-E, la IPT e la FBT, essi sono raramente somministrati ai pazienti oppure, quando lo sono, i terapeuti deviano spesso dal protocollo raccomandato dimenticando di utilizzare alcune procedure, oppure omettendole di proposito o introducendo procedure non previsto (Waller, 2016). Nella maggior parte dei casi sono somministrati trattamenti eclettici in cui si combinano, non sempre in modo coerente, psicoterapie generiche di diversa natura con interventi nutrizionali prescrittivi e psicofarmacologici, dettati principalmente dalla formazione ricevuta dai vari operatori e non da un modello teorico comune specifico per la cura dei disturbi dell’alimentazione (Waller, 2016).

In terzo luogo, in alcuni servizi clinici c’è un’enfasi eccessiva sul ricovero, ed è comune per i pazienti ricevere cure completamente diverse, sia in termini di teoria e contenuti, quando passano da una forma meno intensiva di cura (per es. il trattamento ambulatoriale) a una più intensiva (per es. il trattamento riabilitativo ospedaliero) e viceversa. Questo crea discontinuità nel percorso di cura e disorienta comprensibilmente i pazienti sulle strategie e procedure da utilizzare per affrontare il disturbo dell’alimentazione. Alcuni centri di ricovero, inoltre, hanno liste d’attesa eccessivamente lunghe.

Infine, pochi centri clinici raccolgono dati sull’esito dei trattamenti a breve e a lungo termine

Non c’è una soluzione unica a questi problemi. Un aumento delle risorse dedicate al trattamento dei disturbi dell’alimentazione potrebbe aiutare, ma forse un migliore utilizzo di quelle disponibili potrebbe essere una strategia ancora più efficace.

L’obiettivo primario per migliorare la situazione attuale dovrebbe essere riuscire a offrire alla maggior parte dei pazienti un trattamento ben somministrato basato sull’evidenza scientifica prima possibile. Le terapie basate sull’evidenza sono poco costose, perché sono somministrate da un “singolo” terapeuta (CBT, IPT) o da due terapeuti (FBT) in 20-40 sedute, e determinano, nei 2/3 dei pazienti che concludono il trattamento (circa l’80%), una remissione duratura dal disturbo dell’alimentazione.  I vantaggi di questi trattamenti, che includono alti livelli di efficacia e bassi costi sono, però, realizzabili soltanto se i terapeuti hanno ricevuto una formazione adeguata, altrimenti i tassi di risposta si riducono drasticamente.

In Italia purtroppo anche i terapeuti specializzati nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione, raramente ricevono una formazione sulle psicoterapie basate sull’evidenza. Per tale motivo è necessario sviluppare nuove modalità di formazione, come per esempio, corsi post-universitari specificatamente costruiti per formare i terapeuti e far acquisire loro le abilità necessarie per usare queste forme di psicoterapia. I corsi dovrebbero includere le metodologie abitualmente usate per formare i clinici negli studi controllati, come la disponibilità di un manuale, l’uso di un approccio didattico interattivo, l’osservazione di sedute attuate da esperti e la pratica del role-playing.

Ai pazienti che non rispondo agli interventi ambulatoriali basati sull’evidenza scientifica dovrebbero essere offerti trattamenti più intensivi come il day-hospital o il ricovero in centri di riferimento altamente specializzati. In questi centri è offerta in genere una vasta gamma di procedure mediche, psichiatriche, psicologiche ed educative che non sempre sono coerenti tra loro e a volte sono forniti messaggi contradittori ai pazienti. Per far fronte a questo problema è auspicabile che anche nei centri intesivi di cura sia offerto ai pazienti un approccio coerente e non contradditorio e che i terapeuti, pur mantenendo i loro ruoli professionali specifici, condividano la stessa filosofia e adottino interventi basati sull’evidenza. Tali competenze dovrebbero essere acquisite attraverso programmi di formazione specifici che si aggiungano al percorso formativo di base del singolo professionista nella propria disciplina di pertinenza.

Dopo la dimissione è inoltre indispensabile, per limitare il tasso di ricaduta che affligge i trattamenti intensivi, fornire ai pazienti un trattamento ambulatorio che non sia in contraddizione con quanto fatto durante il ricovero.

Ai pazienti che non rispondono a più trattamenti ambulatoriali e intensivi ben somministrati può essere presa in considerazione la somministrazione di interventi che hanno l’obiettivo primario di migliorare le qualità di vita, piuttosto che la riduzione dei sintomi. Questa decisione va, comunque, presa con cautela, perché i pazienti, anche con una lunga durata del disturbo dell’alimentazione, se ingaggiati attivamente nel trattamento possono raggiungere la remissione o comunque un notevole miglioramento della loro psicopatologie e del loro stato nutrizionale.

Infine, è auspicabile riuscire a dedicare maggiori risorse alla ricerca per sviluppare trattamenti più̀ potenti ed efficaci per tutti i disturbi dell’alimentazione rispetto a quelli attualmente disponibili.

REFERENZE

Brownley, K. A., Berkman, N. D., Peat, C. M., Lohr, K. N., Cullen, K. E., Bann, C. M., & Bulik, C. M. (2016). Binge-Eating Disorder in Adults: A Systematic Review and Meta-analysis. Ann Intern Med.

Byrne, S. (2015). Principal outcomes of the SWAN Study: A randomized controlled trial of three psychoological treatments for anorexia nervosa in adults. Paper presented at the Eating Disorder Society, Taormina, 17-19 September.

Calugi, S., El Ghoch, M., & Dalle Grave, R. (2017). Intensive enhanced cognitive behavioural therapy for severe and enduring anorexia nervosa: A longitudinal outcome study. Behaviour research and therapy, 89, 41-48.

Dalle Grave, R. (2015). La Terapia Cognitivo Comportamentale Multistep dei Disturbi dell’Alimentazione. Teoria, Trattamento e Casi Clinici. Firenze: Eclipsi.

Dalle Grave, R., Calugi, S., Doll, H. A., & Fairburn, C. G. (2013). Enhanced cognitive behaviour therapy for adolescents with anorexia nervosa: an alternative to family therapy? Behaviour Research and Therapy, 51(1), R9-R12.

Dalle Grave, R., Calugi, S., Sartirana, M., & Fairburn, C. G. (2015). Transdiagnostic cognitive behaviour therapy for adolescents with an eating disorder who are not underweight. Behaviour Research and Therapy, 73, 79-82.

De Virgilio, G., Coclite, D., Napoletano, A., Barbina, D., Dalla Ragione, L., Spera, G., & Di Fiandra, T. (2012). Conferenza di consenso. Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) negli adolescenti e nei giovani adulti.  Roma: Rapporti ISTISAN 13/6.

Donini, L. M., Cuzzolaro, M., Spera, G., Badiali, M., Basso, N., Bollea, M. R., . . . Zamboni, M. (2010). [Obesity and Eating Disorders. Indications for the different levels of care. An Italian Expert Consensus Document]. Eating and Weight Disorders, 15(1-2 Suppl), 1-31.

Fairburn, C. G. (2008). Cognitive behavior therapy and eating disorders. New York: Guilford Press.

Fairburn, C. G., Bailey-Straebler, S., Basden, S., Doll, H. A., Jones, R., Murphy, R., . . . Cooper, Z. (2015). A transdiagnostic comparison of enhanced cognitive behaviour therapy (CBT-E) and interpersonal psychotherapy in the treatment of eating disorders. Behav Res Ther, 70, 64-71.

Fairburn, C. G., Cooper, Z., Doll, H. A., O’Connor, M. E., Bohn, K., Hawker, D. M., . . . Palmer, R. L. (2009). Transdiagnostic cognitive-behavioral therapy for patients with eating disorders: a two-site trial with 60-week follow-up. Am J Psychiatry, 166(3), 311-319.

Fairburn, C. G., Cooper, Z., Doll, H. A., O’Connor, M. E., Palmer, R. L., & Dalle Grave, R. (2013). Enhanced cognitive behaviour therapy for adults with anorexia nervosa: a UK-Italy study. Behaviour Research and Therapy, 51(1), R2-8.

Hay, P., Chinn, D., Forbes, D., Madden, S., Newton, R., Sugenor, L., . . . Ward, W. (2014). Royal Australian and New Zealand College of Psychiatrists clinical practice guidelines for the treatment of eating disorders. Aust N Z J Psychiatry, 48(11), 977-1008.

Hay, P., & Touyz, S. (2015). Treatment of patients with severe and enduring eating disorders. Curr Opin Psychiatry, 28(6), 473-477.

Lock, J., Le Grange, D., Agras, W. S., Moye, A., Bryson, S. W., & Jo, B. (2010). Randomized clinical trial comparing family-based treatment with adolescent-focused individual therapy for adolescents with anorexia nervosa. Archives of General Psychiatry, 67(10), 1025-1032.

McElroy, S. L., Hudson, J. I., Mitchell, J. E., Wilfley, D., Ferreira-Cornwell, M. C., Gao, J., . . . Gasior, M. (2015). Efficacy and safety of lisdexamfetamine for treatment of adults with moderate to severe binge-eating disorder: a randomized clinical trial. JAMA Psychiatry, 72(3), 235-246.

Ministero della Salute. (2013). Appropriatezza clinica, strutturale e operativa nella prevenzione, diagnosi e terapia dei disturbi dell’alimentazione: Quaderni del Ministero della Salute 17/22

MInistero della Sanità. (1988). Approvazione delle linee guida concernenti l’organizzazione del Servizio di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione (S.I.A.N.), nell’ambito del Dipartimento di Prevenzione delle Aziende Sanitarie Locali. GU Serie Generale n. 258 del 4-11-1998 – Suppl. Ordinario n. 185.

NICE. (2004). Eating disorders: Core interventions in the treatment and management of anorexia nervosa, bulimia nervosa and related eating disorders. London: National Institute for Clinical Excellence.

Poulsen, S., Lunn, S., Daniel, S. I., Folke, S., Mathiesen, B. B., Katznelson, H., & Fairburn, C. G. (2014). A randomized controlled trial of psychoanalytic psychotherapy or cognitive-behavioral therapy for bulimia nervosa. Am J Psychiatry, 171(1), 109-116.

Touyz, S., Le Grange, D., Lacey, H., Hay, P., Smith, R., Maguire, S., . . . Crosby, R. D. (2013). Treating severe and enduring anorexia nervosa: a randomized controlled trial. Psychol Med, 43(12), 2501-2511.

Waller, G. (2016). Treatment Protocols for Eating Disorders: Clinicians’ Attitudes, Concerns, Adherence and Difficulties Delivering Evidence-Based Psychological Interventions. Curr Psychiatry Rep, 18(4), 36.

Zipfel, S., Wild, B., Gross, G., Friederich, H. C., Teufel, M., Schellberg, D., . . . Herzog, W. (2014). Focal psychodynamic therapy, cognitive behaviour therapy, and optimised treatment as usual in outpatients with anorexia nervosa (ANTOP study): randomised controlled trial. Lancet, 383(9912), 127-137.