Sintomi gastrointestinali, diete di eliminazione e disturbi della nutrizione e dell’alimentazione

 

Dolore addominale, gonfiore, nausea, stipsi e diarrea sono sintomi gastrointestinali molto diffusi nella popolazione, ma spesso non hanno una spiegazione organica. In questi casi i sintomi sono attribuiti ai “disturbi dell’interazione intestino-cervello”, precedentemente noti come disturbi gastrointestinali funzionali, definiti così per descrivere in modo più accurato la loro base fisiopatologica (Drossman & Hasler, 2016).  I disturbi dell’interazione intestino-cervello”, come la sindrome dell’intestino irritabile, la dispepsia funzionale e la stipsi funzionale rappresentano almeno un terzo delle visite specialistiche effettuate negli ambulatori di gastroenterologia (Shivaji & Ford, 2014), colpiscono fino al 40% delle persone nel corso della loro vita, con una maggiore prevalenza nelle donne (49%) rispetto agli uomini (37%), e di queste due terzi hanno sintomi cronici e fluttuati (Black, Drossman, Talley, Ruddy, & Ford, 2020).

La fisiopatologia dei disturbi dell’interazione intestino-cervello è complessa e solo in parte nota ma, secondo la teoria biopsicosociale più recente, è caratterizzata da una disregolazione bidirezionale dell’interazione intestino-cervello, attraverso l’asse intestino-cervello (Black et al., 2020). Per decenni la patogenesi di questi disturbi è stata attribuita semplicemente all’ipersensibilità viscerale, alla anormale motilità gastrointestinale e a disturbi psicologici. Recentemente, sfidando l’idea che siano assenti alterazioni strutturali, sono stati però individuati altri meccanismi patogenetici potenziali come l’infiammazione basso grado intestinale, l’aumento della permeabilità intestinale, l’alterata funzione immunitaria della mucosa e i disturbi nel microbioma (Ford, Sperber, Corsetti, & Camilleri, 2020).

Negli ultimi anni il trattamento dei disturbi dell’interazione intestino-cervello ha utilizzato spesso diete che prevedono l’eliminazione di specifici cibi partendo dall’osservazione che circa due terzi dei pazienti con sindrome dell’intestino irritabile riportano che i loro sintomi sono collegati con l’assunzione di alcuni specifici. Gli studi sull’efficacia di alcune di queste diete, come la dieta FODMAP (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides, And Polyols) che riduce l’assunzione di alcuni cibi che tendono a fermentare nell’intestino e a trattenere e richiamare acqua dalla mucosa, hanno evidenziato che, se usate in modo appropriato, possono alleviare i sintomi fisici della sindrome dell’intestino irritabile (Varjú et al., 2017). Dal momento però che gli effetti della dieta FODMAP non sono stati studiati in un contesto randomizzato e controllato per più di 6 settimane e mancano studi che hanno esaminato l’effetto del periodo di reintroduzione dei cibi, non è escluso che i miglioramenti dei sintomi gastrointestinali attribuiti alle modificazioni dietetiche siano la mera conseguenza di un effetto placebo o nocebo (Krogsgaard, Lyngesen, & Bytzer, 2017).

Le diete di eliminazione in alcune persone possano determinare deficit nutrizionali, preoccupazioni per l’alimentazione e scatenare o aggravare un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione (Simons et al., 2022). Per tale motivo la mancanza di un accurato screening e di una adeguata gestione di questi rischi può compromettere la salute fisica e il benessere psicosociale del paziente.

In questo articolo sono descritti i meccanismi attraverso cui le diete di eliminazione possono contribuire a sviluppare e mantenere i disturbi dell’alimentazione e il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID) e sono suggeriti alcune strategie per prevenire e gestire questi rischi.

Diete di eliminazione e disturbi dell’alimentazione

La malattia cronica, come un disturbo dell’interazione intestino-cervello, spesso si associa a una sensazione di perdita di controllo (Simons et al., 2022). In questi casi, la restrizione alimentare è attraente perché può offrire un certo controllo su una malattia imprevedibile che ha sintomi imbarazzanti e stigmatizzati (Satherley, Howard, & Higgs, 2015) e, in alcune persone, può attivare la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione.

La teoria cognitivo comportamentale sostiene che la restrizione alimentare, comportamento che caratterizza l’esordio della maggior parte dei disturbi dell’alimentazione, ha origine da due vie principali che possono operare contemporaneamente (Fairburn & Harrison, 2003). La prima si presenta nelle persone che hanno la necessità di controllare vari aspetti della loro vita (per es. lavoro, scuola, sport, altri interessi) quando in circostanze particolari iniziano a spostare i loro sforzi verso il controllo dell’alimentazione e sviluppano un’eccessiva valutazione del controllo dell’alimentazione. La seconda si verifica nelle persone che hanno interiorizzato l’ideale di magrezza e sviluppano un’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo. In entrambi i casi, il risultato è l’adozione di una restrizione dietetica estrema e rigida (dieta ferrea) che, a sua volta, rinforza la necessità di controllo dell’alimentazione, del peso e della forma del corpo. In seguito, iniziano a operare altri meccanismi che contribuiscono a mantenere il disturbo dell’alimentazione (Dalle Grave & Calugi, 2020).

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Figura 1. Sintomi gastrointestinali nelle due vie di ingresso dei disturbi dell’alimentazione secondo la teoria cognitivo comportamentale

 

Diete di eliminazione e disturbo evitante restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID)

Le diete di eliminazione possono aumentare il rischio di ARFID, un disturbo della nutrizione (Simons et al., 2022) caratterizzato da una persistente incapacità di soddisfare adeguati bisogni nutrizionali e/o energetici che porta a conseguenze clinicamente significative (es. perdita di peso o incapacità di raggiungere l’aumento di peso atteso, deficit nutrizionale, dipendenza dall’alimentazione enterale o supplementi nutrizionali orali, interferenza con il funzionamento psicosociale) (American Psychiatric Association, 2013).  L’evitamento e la restrizione del cibo nell’ARFID non sono motivai dalla paura di ingrassare o dall’insoddisfazione per la forma corporea, ma possono essere la conseguenza di una o più delle seguenti tre caratteristiche (American Psychiatric Association, 2013): (1) apparente mancanza d’interesse per il mangiare o per il cibo; evitamento basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo; (3) preoccupazione relativa alle conseguenze negative del mangiare determinati cibi.

La terza caratteristica, in particolare, quando è associata alle preoccupazioni che alcuni cibi possano scatenare o accentuare i sintomi gastrointestinali, porta ad eliminare numerosi alimenti e spesso ai terapeuti a prescrivere diete di eliminazione. Uno studio ha, infatti, trovato che in quasi il 90% dei pazienti con ARFID trattati in un centro di medicina comportamentale era stata prescritta una dieta FODMAP e al 70% di essi, questa dieta era stata prescritta anche quando erano soddisfatti i criteri diagnostici dell’ARFID o era presente una condizione di sottopeso (Harer, Jagielski, Riehl, & Chey, 2019).

I meccanismi che possono scatenare e/o mantenere l’ARFID con le diete di eliminazione sono mostrati nella Figura 2. Secondo la teoria cognitivo comportamentale le persone con un temperamento ansioso e un’aumentata sensibilità alle sensazioni fisiche, quando hanno dei sintomi gastrointestinali che associano all’assunzione di determinati alimenti, sviluppano delle predizioni negative (es. “Questo cibo mi questo cibo mi farà sentire gonfio”) che gestiscono con la l’evitamento/restrizione del cibo (Thomas & Eddy, 2021). Questo comportamento produce una compromissione dello stato nutrizionale e talora di basso peso che determinano lo sviluppo di alcuni sintomi (es. sensazione di pienezza da ridotto svuotamento gastrico, stipsi, aumento dei pensieri sul cibo e ansia) che mantengono e accentuano l’evitamento/restrizione del cibo. Inoltre, l’evitamento/restrizione del cibo fa in modo che le persone perdano l’opportunità di confutare le loro predizioni negative. Infine, non è infrequente che queste persone, durante il consumo dei pasti, mettono in atto alcuni comportamenti di sicurezza (es. fare bocconi estremamente piccoli, masticare per molto più tempo del necessario, usare i denti incisivi anteriori piuttosto che i molari posteriori per masticare, bere un sorso d’acqua dopo ogni morso, mangiare solo quando si è vicini a casa/al bagno, portare con sé farmaci antinausea) che mantengono ulteriormente l’ansia e interferiscono con le opportunità di confutare le loro predizioni catastrofiche secondo le quali mangiare non è sicuro (Thomas & Eddy, 2021).

È evidente che la prescrizione di una dieta di eliminazione in persone con le caratteristiche descritte sopra può scatenare lo sviluppo dell’ARFID e contribuisce a mantenerlo in quelli che già ne soffrono.

La prevalenza di sintomi di ARFID nella popolazione adulta gastroenterologica è di circa il 20% (Zia et al., 2017), mentre in quella pediatrica varia tra l’1,5% e il 3,9% (Eddy et al., 2015). È stato inoltre osservato che la diagnosi di ARFID è stata posta da un gastroenterologo (Simons et al., 2022).

In accordo con questa teoria, i sintomi gastrointestinali e la dieta di eliminazione possono scatenare o mantenere il disturbo dell’alimentazione attraverso i seguenti meccanismi (Figura 1):

  1. La dieta di eliminazione per gestire i sintomi gastrointestinali, spesso associati a situazioni stressanti, favorisce sviluppo di un’eccessiva valutazione del controllo dell’alimentazione e la conseguente adozione di una dieta ferrea spostando la necessità di controllo in generale sul controllo dell’alimentazione.
  2. La restrizione dietetica calorica e il basso peso determinano lo sviluppo di numerosi sintomi da malnutrizione per difetto (Calugi, Chignola, El Ghoch, & Dalle Grave, 2018), tra cui preoccupazioni per il cibo, sensazione di pienezza precoce da rallentato svuotamento gastrico, stipsi e ansia) che portano ad eliminare ulteriori alimenti e a restringere ancora di più l’alimentazione. Questo meccanismo è presente anche nelle persone che hanno un’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo e adottano una dieta ferrea per perdere peso e modificare la forma del corpo.

Sebbene i dati sul tasso di prevalenza dei disturbi dell’alimentazione nelle persone con disturbi dell’interazione intestino-cervello siano conflittuali (Kayar et al., 2020; Reed-Knight, Squires, Chitkara, & van Tilburg, 2016), circa il 30% delle persone con disturbi funzionali gastrointestinali valutate tramite un sondaggio online hanno soddisfatto i criteri diagnostici per un disturbo dell’alimentazione valutato con l’Eating Disorder Examination Questionnaire (Zia, Riddle, DeCou, Mccann, & Heitkemper, 2017). Inoltre, nei pazienti con sindrome dell’intestino irritabile la maggiore aderenza alla dieta FOODMAP è associata a un maggiore probabilità di avere un disturbo dell’alimentazione (Mari et al., 2019).

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Figura 2. Modello cognitivo dell’ARFID caratterizzato da preoccupazioni relative alle conseguenze negative del mangiare sui sintomi gastrointestinali – Adattata da Thomas, J., & Eddy, K. T. (2021). Terapia cognitivo-comportamentale per il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo. Verona: Positive Press.

Suggerimenti per ridurre i potenziali danni della prescrizione di diete di eliminazione

I clinici, prima di prescrivere una dieta di eliminazione ai pazienti con disturbi dell’interazione intestino-cervello, dovrebbero sempre eseguire uno screening finalizzato ad escludere la presenza di un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione o di caratteristiche associate ad un aumento del rischio di sviluppare questi disturbi.

Due strumenti di screening che possono essere usati sono l’Eating Disorder Eaxemination Questionnaire (EDE-Q) (Calugi et al., 2017) per i disturbi dell’alimentazione e il Nine Item Avoidant/Restrictive Food Intake disorder screen (NIAS) (Eddy et al., 2015) per l’ARFID. La presenza di un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione va comunque sempre confermata con un’intervista diagnostica.

Quando i sintomi gastrointestinali, l’evitamento del cibo e il basso peso sono associati alla paura di ingrassare, all’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo o ad altri comportamenti estremi di controllo del peso (es. vomito autoindotto, esercizio fisico eccessivo), la diagnosi di anoressia nervosa o di altri disturbi dell’alimentazione è semplice. Più complessa è la valutazione diagnostica nei pazienti con sintomi gastrointestinali e deficit nutrizionali che non riportano la paura di ingrassare e le preoccupazioni per il peso e la forma del corpo. In questi casi, la presenza di un disturbo dell’alimentazione va sospettata quando il paziente non è preoccupato della sua condizione di basso peso e/o valuta positivamente l’evitamento del cibo, non solo perché lo aiuta a mitigare i sintomi gastrointestinali, ma soprattutto perché lo fa sentire in controllo e lo usa per valutare se stesso.

Va invece sospettata la presenza di ARFID quando è presente un evitamento generalizzato degli alimenti in risposta all’ansia sui potenziali sintomi gastrointestinali anche durante i periodi di bassa attività dei sintomi (Simons et al., 2022). Al contrario, l’evitamento di specifici cibi o di classi di alimenti con un dimostrato positivo impatto sui sintomi gastrointestinali, senza un significativo danno sullo stato nutrizionale e sulla qualità della vita, non va considerato un comportamento patologico.

La presenza di un disturbo dell’alimentazione o dell’ARFID in pazienti con sintomi gastrointestinali controindica la prescrizione di una dieta di eliminazione. In questi casi il paziente va inviato ad un centro specializzato per il trattamento dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. La normalizzazione dello stato nutrizionale e il miglioramento della psicopatologia del disturbo della nutrizione e dell’alimentazione in genere si associa anche al miglioramento della sintomatologia gastrointestinale senza che quest’ultima sia affrontata direttamente (Benini et al., 2004).

La Tabella 1 descrive le caratteristiche che possono aiutare a distinguere la presenza di un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione in una persona con sintomi gastrointestinali che adotta una dieta di eliminazione.

Tabella 1. Caratteristiche associate all’evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo per la gestione dei sintomi gastrointestinali nei disturbi dell’interazione intestino cervello e nei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione

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Identificare le persone con disturbi gastrointestinali che sono a rischio di sviluppare un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione con l’adozione di una dieta di eliminazione non è facile. Le caratteristiche che potrebbero aumentare il rischio di sviluppare un disturbo dell’alimentazione sono il genere femminile, l’adolescenza, l’eccesso di peso o al contrario di basso peso nell’infanzia e nella prima adolescenza, l’aver subito prese in giro per il peso e la forma del corpo, alcuni tratti di personalità (es. perfezionismo, bassa autostima) e la presenza di disturbi dell’alimentazione in famiglia (Dalle Grave 2022). L’ARFID, invece, sembra svilupparsi con maggiore probabilità nelle donne normopeso quando perdono più di 5 kg di peso, in quelli che riportano sintomi allo stomaco o al tratto gastrointestinale inferiore e quando i cibi evitati e ristretti non sono solo associati ai sintomi gastrointestinali (Simons et al., 2022). Nei bambini, invece, i sintomi di ARFID sono spesso osservati ne maschi che mostrano scarso interesse nei confronti del cibo e/o evitamento del cibo per le sue caratteristiche sensoriali (Simons et al., 2022).

La presenza di fattori di rischio potenziali per lo sviluppo di un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione è una controindicazione alla prescrizione di una dieta di eliminazione per la gestione dei sintomi gastrointestinali. In questo caso, i sintomi vanno gestiti con i trattamenti raccomandati per la cura dei disturbi dell’interazione intestino-cervello che non prevedono l’eliminazione di specifici alimenti (es. terapia cognitivo comportamentale per la sindrome dell’intestino irritabile o farmaci per gestire a sintomi specifici come la stipsi, la diarrea e il dolore addominale) (Black et al., 2020).

Infine, anche quando si è esclusa la presenza di un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione o di fattori di rischio potenziali per il suo sviluppo, prima di prescrivere una dieta di eliminazione vanno sempre discussi i pro e i contro con il paziente. Se si decide che l’adozione di questa dieta potrebbe potenzialmente aiutare a migliorare i sintomi gastrointestinali, non è consigliabile consegnare solo una dispensa sui cibi da assumere o eliminare e fornire dei consigli generici, ma è raccomandabile che il paziente sia seguito da un dietista/nutrizionista esperto nella gestione delle malattie gastrointestinali e che sappia identificare i segnali precoci di un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione. Va anche scoraggiata la prescrizione di diete di eliminazione estreme e rigide, perché un approccio graduale e flessibile alla terapia dietetica di eliminazione ha dimostrato di essere efficace e associato a un minore rischio di sviluppare conseguenze negative per la salute e il benessere psicosociale (Simons et al., 2022).

N.B. Informazioni dettagliate sui disturbi dell’interazione intestino-cervello si possono trovare sul sito Roma Foundation https://theromefoundation.org.

 

Bibiografia

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