Prevenzione dei disturbi dell’alimentazione nella scuola: progressi e sfide future

A cura di: Riccardo Dalle Grave

Unità Funzionale di Riabilitazione Nutrizionale Casa di Cura Villa Garda, Via Montebaldo 89, 37016, Garda (Vr), Italia, Fax: +39458102884, email: rdalleg@tin.it

Introduzione

I disturbi dell’alimentazione sono uno dei più comuni problemi di salute che affliggono le adolescenti e le giovani donne dei Paesi occidentali (Lewinsohn et al., 1993). Sono caratterizzati da persistenti disturbi del comportamento alimentare e/o di comportamenti estremi di controllo del peso associati a un’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo (Fairburn and Harrison, 2003) che causano spesso una grave morbilità fisica e psicosociale (Fairburn and Harrison, 2003) e un aumentato rischio di morte (Agras, 2001). Solo un sottogruppo di individui riceve un trattamento (Newman et al., 1996) e spesso dopo molti anni di malattia, quando la condizione ha prodotto danni invalidanti e a volte irreversibili (Herzog et al., 1992). La remissione completa dai disturbi dell’alimentazione è raggiunta da circa il 40-50% dei pazienti che completano i trattamenti basati sull’evidenza (Fairburn et al., 2009) e un ampio sottogruppo necessita di essere ospedalizzato per lunghi periodi in costosi reparti specializzati (Dalle Grave et al., 2008, Dalle Grave, 2011). Dal momento che i disturbi dell’alimentazione sono comuni e creano danni rilevanti, negli ultimi anni si è sviluppato un considerevole interesse nei confronti della loro prevenzione. In particolare, molti sforzi sono stati dedicati a sviluppare programmi di prevenzione scolastici perché i disturbi dell’alimentazione iniziano nell’adolescenza e la scuola è potenzialmente il luogo migliore per accedere alla maggior parte degli adolescenti (Dalle Grave, 2003). Programmi scolastici di prevenzione sono stati sviluppati e valutati da studi controllati in numerosi Paesi occidentali (es. Canada, Stati Uniti d’America, Norvegia, Svizzera, Olanda, Inghilterra, Italia, Spagna, Croazia, Australia ed Israele) (Dalle Grave, 2003) e un ampio bagaglio di conoscenza è oggi disponibile sulla loro efficacia e i loro limiti.Gli scopi principali di questo capitolo sono tre: (1) fare una revisione narrativa dell’efficacia dei programmi scolastici di prevenzione dei disturbi dell’alimentazione; (2) consigliare alcune implicazioni per gli stakeholder del settore della salute; (3) suggerire alcune strategie per migliorare i programmi futuri di prevenzione scolastica dei disturbi dell’alimentazione.

Prevenzione dei disturbi dell’alimentazione: alcune definizioni 

La prevenzione dei disturbi dell’alimentazione si colloca all’interno delle aree di intervento della salute pubblica, definita come il processo di mobilizzare risorse locali, regionali, nazionali e internazionale per risolvere i maggiori problemi che affliggono la comunità (Detels et al., 2002).

Il sistema classificativo originario per la prevenzione nel campo della salute pubblica, proposto dalla Commission on Chronic Illness (1957), prevedeva tre livelli di prevenzione (primaria, secondaria e terziaria) definiti in termini di obiettivi nei confronti del disturbo o della malattia (Tabella 1).

Tabella 1. I tre tipi di prevenzione (Commission on Chronic Illness, 1957)


 

Prevenzione primaria. Cerca di diminuire il numero di nuovi casi di un disturbo o di una malattia (incidenza).

Prevenzione secondaria. Cerca di diminuire il tasso di casi stabiliti di un disturbo o una malattia nella popolazione (prevalenza).

Prevenzione terziaria. Cerca di diminuire la quantità di disabilità di un disturbo esistente.


 

La definizione della Commission on Chronic Illness non è stata universalmente accettata e ha determinato disaccordi e confusione. Gordon (1983) ha proposto un nuovo sistemo classificativo adottando una prospettiva basata sul “rischio beneficio” derivata  dall’assunto che il rischio di un individuo di ammalarsi deve essere pesato contro il costo, il rischio e il disagio dell’intervento preventivo. Il sistema classificativo di Gordon, che prevedeva tre livelli di prevenzione (universale, selettiva e indicata), è stato successivamente modificato dall’Institute of Medicine (Mrazek and Haggerty, 1994) ed oggi è adottato dalla maggior parte degli operatori della salute che si occupano di prevenzione (Tabella 2).

Tabella 2. Livelli di  prevenzione proposti dall’Institute of Medicine (Mrazek & Haggerty, 1994)


 

Prevenzione universale. Sono interventi diretti al grande pubblico o a un intero gruppo di una popolazione che non è stato identificato sulla base del rischio individuale.

Prevenzione selettiva.  Sono interventi diretti agli individui o a un sottogruppo della popolazione il cui rischio di sviluppare un disturbo mentale è significativamente al di sopra della media, come evidenziato da fattori di rischio biologici, psicologici o sociali.

Prevenzione indicata. Sono interventi diretti a individui ad alto rischio che sono identificati per avere sintomi o segni premonitori minimi ma rilevabili di un disturbo mentale, o marcatori biologici che indicano la predisposizione a un disturbo mentale, ma che non soddisfano i criteri DSM.


 

Nella pratica preventiva dei disturbi dell’alimentazione la distinzione in livelli distinti di prevenzione è difficile da mantenere. Molti programmi di prevenzione universali, ad esempio, sono diretti alle adolescenti o alle giovani donne, ed è noto che il sesso femminile è un marcatore fisso dei disturbi dell’alimentazione. Inoltre, alcuni interventi di prevenzione selettiva includono inevitabilmente individui che adottano comportamenti non salutari di controllo del peso – che possono essere sia un fattore di rischio variabile sia un prodomo del disturbo dell’alimentazione (vedi Tabella 3 per la definizione dei fattori di rischio).

Tabella 3. Definizione dei fattori di rischio (Kraemer et al., 1997, Stice et al., 2010)


 

  • Fattore di rischio variabile: è un fattore che si modifica spontaneamente (es. età o peso) o in conseguenza del trattamento.
  • Marcatore fisso: è un fattore che non può essere modificato (es. razza, sesso).
  • Fattore di rischio: è un fattore in cui non c’è un’evidenza empirica che documentai la sua variabilità o stabilità all’interno di un individuo.
  • Fattore di rischio causale: è un fattore che ha dimostrato di essere manipolabile e, quando è stato manipolato, di modificare il rischio dell’esito.
  • Marcatore variabile: è un fattore che non ha dimostrato di essere manipolabile o se manipolato non ha dimostrato di modificare il rischio dell’esito.
  • Prodromo: sintomo o sintomi che possono indicare la futura insorgenza del disturbo, ma che sono anche una caratteristica del disturbo stesso (es. la restrizione dietetica e l’insoddisfazione corporea).

N.B. È da sottolineare che i termini appropriati da usare dipendono dallo stato delle nostre conoscenze su un particolare fattore di rischio. Così un fattore di rischio variabile potrà diventare un fattore di rischio causale se la sua manipolazione dimostrerà di modificare il rischio di esito.

Evoluzione dei programmi scolastici di prevenzione dei disturbi dell’alimentazione

I programmi di prima generazione hanno adottato un approccio psicoeducativo (didattico) che forniva informazioni sulla nutrizione, sull’immagine corporea, sui disturbi dell’alimentazione e sui loro effetti dannosi. Questi programmi hanno determinato un incremento della conoscenza ma non una modificazione delle attitudini disfunzionali (es. l’eccessiva valutazione del peso e dalla forma del corpo) e dei comportamenti non salutari (es. la restrizione dietetica) (Dalle Grave, 2003).

I programmi di seconda generazione hanno affrontato alcuni fattori di rischio empiricamente stabiliti, mantenendo un approccio didattico. In generale questi programmi hanno ridotto alcuni fattori di rischio, ma non i sintomi dei disturbi dell’alimentazione.

I programmi di terza generazione, infine, hanno affrontato alcuni fattori di rischio empiricamente stabiliti utilizzando un approccio educativo interattivo ed esperienziale e innovative procedure e strategie progettate per modificare le attitudini disfunzionali e i comportamenti non salutari. Esempi includono l’approccio basato sulla dissonanza cognitiva (Shaw et al., 2009, Stice et al., 2008b), le tecniche di ristrutturazione cognitiva per sfidare le attitudini disfunzionali nei confronti del peso e della forma del corpo (Dalle Grave et al., 2001, Stewart et al., 2001), i messaggio video per dissuadere i partecipanti a fare una dieta (Paxton et al., 2002), le tecniche attive (es. automonitoraggio) per incoraggiare una modificazione delle abitudini alimentari (Stewart et al., 2001), i videotape di prevenzione sulla diete e sull’immagine corporea (Withers et al., 2002), le strategie per migliorare l’immagine corporea e l’autostima (O’Dea and Abraham, 2000) e i programmi multimediali su Internet con materiale psicoeducativo di autoaiuto (Winzelberg et al., 1998, Celio et al., 2000). Questi programmi hanno ridotto alcuni fattori di rischio e sintomi dei disturbi dell’alimentazione.

Effetti dei programmi scolastici di prevenzione dei disturbi dell’alimentazione

Negli ultimi 15 anni numerosi programmi scolastici di prevenzione dei disturbi dell’alimentazione sono stati valutati da studi controllati e randomizzati e l’efficacia di questi studi è stata analizzata da revisioni sistematiche (Dalle Grave, 2003, Stice and Shaw, 2004, Stice et al., 2007b, Yager and O’Dea, 2008).

Le conclusioni di una recente metanalsi, che ha esaminato 66 studi di 51 programmi di prevenzione diversi, sono le seguenti (Stice et al., 2007b):

  • Il 51% ha ridotto almeno un fattore di rischio empiricamente stabilito.
  • Il  29% ha prodotto una riduzione significativa dei sintomi dei disturbi dell’alimentazione.
  • Il 4% (due programmi) ha ridotto il rischio futuro d’insorgenza dei disturbi dell’alimentazione.
  • La riduzione dei fattori di rischio non si traduce sempre in una riduzione dei sintomi.
  • L’effect size degli interventi è piccolo (r = .10 to .18 per i fattori di rischio al post-test; r = .13 al post-test e al follow-up per i sintomi dei disturbi dell’alimentazione), questo significa che c’è un ampio spazio per migliorare l’efficacia dei programmi preventivi,
  • Numerosi programmi hanno ridotto i sintomi dei disturbi dell’alimentazione anche al follow-up.
  • I programmi efficaci si sono focalizzati sull’insoddisfazione corporea e sulle pressioni socio-culturali.
  • Solo il programma di Stice e collaboratori (2008a), basato sull’induzione della dissonanza cognitiva, ha prodotto effetti in studi replicati dipendenti e indipendenti.

La metanalisi ha anche valutato le seguenti categorie di moderatori dei programmi, che specificano per chi e in quale condizione il programma funziona:

  • Caratteristiche del programma: effetti più grandi sono emersi nei programmi selettivi rispetto a quelli universali, offerti solo alle femmine e ai partecipanti di età maggiore di 15 anni.
  • Caratteristiche dell’intervento: effetti più grandi sono emersi nei programmi interattivi rispetto a quelli didattici, che hanno usato sedute multiple, somministrati da professionisti, focalizzati sull’accettazione del corpo, che he hanno usato un’induzione della dissonanza per cambiare le attitudini e comportamenti e che non hanno incluso materiale psicoeducativo.
  • Caratteristiche del disegno sperimentale: effetti più grandi sono emersi negli studi che hanno usato misure validate e periodi più brevi di follow-up (un artefatto).

Le conclusioni della revisione di Stice e collaboratori (2007b) e di altre revisioni sistematiche (Dalle Grave, 2003, Stice and Shaw, 2004, Yager and O’Dea, 2008) forniscono utili informazioni sulla conoscenza delle caratteristiche dei programmi di prevenzione scolastica dei disturbi dell’alimentazione associate a un esito buono che possono essere riassunte nei punti seguenti:

  • I programmi di prevenzione selettiva tendono a ottenere risultati migliori rispetto a quelli universali. La maggior parte dei programmi universali ha raggiunto l’obiettivo di migliorare la conoscenza dei partecipanti, ma solo pochi hanno prodotto effetti positivi nelle attitudini disfunzionali e nei comportamenti non salutari. La maggior parte dei programmi selettivi, al contrario, ha prodotto effetti positivi sia sulle attitudini disfunzionali sia sui comportamenti non salutari. Effetti positivi negli individui ad alto rischio sono stati riportati da alcuni programmi universali, ma non da tutti (Becker et al., 2008). Due ragioni principali possono spiegare i risultati scadenti ottenuti dai programmi di prevenzione universale (Dalle Grave, 2003): (1) il livello di attitudini disfunzionali e di comportamenti non salutari in campioni non selezionati può essere così basso che è difficile dimostrare qualsiasi effetto significativo dell’intervento; (2) il campione non selezionato può non essere sufficientemente motivato a ingaggiarsi attivamente nel programma di prevenzione.
  • I programmi didattici hanno ottenuto minori effetti positivi rispetto a quelli interattivi. I programmi educativi didattici hanno in genere determinato delle modificazioni sulla conoscenza, ma pochi miglioramenti delle attitudini e dei comportamenti. Questa osservazione aggiunge un’ulteriore evidenza alla conclusione raggiunta da ricercatori in altre aree che gli interventi psico-educativi didattici sono meno efficaci rispetto a quelli che coinvolgono attivamente gli studenti e insegnano loro nuove abilità (Clarke et al., 1995).
  • I programmi diretti agli studenti più anziani (più di 15 anni) hanno prodotto un effetto preventivo più potente sulle attitudini disfunzionali e i comportamenti non salutari. Una spiegazione possibile di questo risultato è che pochi studenti giovani (11-12 anni) adottano comportamenti di controllo del peso non salutari o evidenziano attitudini disfunzionali nei confronti del peso, della forma del corpo e del controllo dell’alimentazione. Di conseguenza è molto difficile raggiungere una riduzione significativa delle misure di esito. Un modo migliore per di  valutare l’efficacia dei programmi di prevenzione nei partecipanti più giovani potrebbe essere quello di seguirli negli anni per valutare gli effetti a lungo termine dell’intervento preventivo (Dalle Grave, 2003).  Un’altra possibilità è che gli studenti più giovani senza preoccupazioni sul peso, sulla forma del corpo e sul controllo dell’alimentazione non siano sufficientemente motivati a impegnarsi in un programma di prevenzione.  Infine, gli interventi possono essere stati più efficaci negli adolescenti perché sono stati somministrati durante il periodo di picco di rischio di inizio della psicopatologia del disturbi dell’alimentazione (Shaw et al., 2009).
  • I programmi somministrati dai professionisti sono più efficaci di quelli somministrati da provider endogeni (es. insegnanti e consulenti). Due ragioni principali possono spiegare questo risultatp. Primo, i  provider endogeni hanno richieste competitive (es. insegnare) che ostacolano il mantenimento della fedeltà al programma. Secondo, i provider endogeni spesso ricevono una minore formazione sul programma in confronto a quella dei professionisti.
  • Alcuni contenuti dell’intervento sembrano produrre un esito migliore. Il numero di procedure e strategie utilizzate nei programmi è molto vario ed esiste una loro sovrapposizione in quelli che hanno avuto un esito positivo e negativo. È di conseguenza molto difficile trarre delle conclusioni su quali possano essere stati i contenuti specifici del programma di prevenzione che abbiano determinato un positivo effetto sulle attitudini disfunzionali e i comportamenti non salutari. Gli interventi di induzione di dissonanza cognitiva sembrano produrre il più largo effetto sull’interiorizzazione dell’ideale di magrezza, l’insoddisfazione corporea, i comportamenti dietetici, gli stati d’animo negativo e la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione, rispetto agli altri programmi (Stice et al., 2007). Risultati positivi sono stati ottenuti anche da programmi focalizzati sull’accettazione del corpo, su attività educative che aiutano a costruire l’autostima, sul controllo salutare del peso, sull’analisi critica dell’ideale di magrezza promosso dai media e sull’uso del computer e di internet come mezzo di trasmissione delle informazioni (Stice et al., 2007b, Yager and O’Dea, 2008). Al contrario, interventi con un focus psicoeducativo e socioculturale o di gestione degli eventi stressanti hanno avuto effetti limitati (Stice et al., 2007b, Shaw et al., 2009). Questi dati indicano che la prevenzione della psicopatologia dei disturbi dell’alimentazione può essere ottenuta attraverso numerose e diverse procedure e strategie.

Descrizione di alcuni programmi valutati da studi controllati

Progetto corpo

È un programma di prevenzione selettiva che ha l’obiettivo di ridurre l’interiorizzazione dell’ideale di magrezza, un fattore di rischio empiricamente dimostrato per i disturbi dell’alimentazione, in partecipanti auto-selezionate.  Il reclutamento delle partecipanti avviene tramite una comunicazione che invita le studentesse con preoccupazioni per l’immagine corporea a iscriversi a un corso sull’accettazione del corpo.

L’ipotesi dell’intervento è che la riduzione dell’interiorizzazione dell’ideale di magrezza dovrebbe produrre un miglioramento nella soddisfazione del corpo e nel tono dell’umore, un minor ricorso a comportamenti per il controllo del peso non salutari, e una riduzione delle abbuffate e di altri sintomi dei disturbi dell’alimentazione.

Il programma è basato sui principi psicologici sociali della teoria della dissonanza cognitiva.  La teoria postula che incoraggiare le partecipanti ad assumere volontariamente una prospettiva contro-attitudinale, e nello specifico prendere una posizione attiva contro l’ideale culturale di magrezza, produce uno stato di dissonanza cognitiva che può favorire lo spostamento verso una nuova prospettiva (Festinger, 1957).

Il programma si svolge in 3-4 sedute di un’ora una volta la settimana e utilizza specifici esercizi verbali, scritti e comportamentali per permettere alle giovani donne di criticare volontariamente l’ideale di magrezza ed esercizi di role-playing durante i quali le partecipanti sfidano le affermazioni a favore dell’ideale di magrezza. Inoltre, assegna alle partecipanti compiti a casa per incoraggiarle a criticare l’ideale di magrezza attraverso temi contro-attitudinali sui costi del perseguire l’ideale di magrezza ed esercizi di attivismo corporeo.

In uno studio con tre anni di follow-up, i partecipanti assegnati all’intervento di dissonanza cognitiva hanno ottenuto una diminuzione significativamente maggiore, rispetto a quelli assegnati all’intervento di controllo, dell’interiorizzazione dell’ideale di magrezza, dell’insoddisfazione corporea, degli stati d’animo negativi, dei sintomi dei disturbi dell’alimentazione e del danno nel funzionamento psicosociale (Stice et al., 2008a). Lo studio ha anche osservato, per la prima volta nel campo della prevenzione dei disturbi dell’alimentazione, una reale effetto preventivo (Stice et al., 2008a).  In particolare, i partecipanti assegnati all’intervento basato sulla dissonanza cognitiva hanno ottenuto una riduzione del 60% del rischio d’insorgenza di disturbi dell’alimentazione rispetto ai controlli durante il periodo di tre anni di follow-up (Stice et al., 2008a). Il programma di dissonanza ha anche ottenuto risultati migliori rispetto agli interventi alternativi sulla riduzione dei fattori di rischio, dei sintomi dei disturbi dell’alimentazione e del danno psicosociale. Questi dati indicano che gli effetti sono clinicamente importanti e duraturi.  Studi controllati da laboratori indipendenti hanno replicato i risultati (Becker et al., 2005, Mitchell et al., 2007), dimostrando che gli effetti dell’intervento non sono dovuti alle aspettative o a effetti non specifici.

Lo studio dei mediatori dell’intervento, cioè i meccanismi attraverso cui l’intervento raggiunge i suoi effetti (Kraemer et al., 2002),  ha evidenziato che:

  • L’intervento di dissonanza riduce sia alcuni esiti (es. insoddisfazione corporea, restrizione dietetica, stati d’animo negativi e sintomi dei disturbi dell’alimentazione) sia il mediatore (es. interiorizzazione dell’ideale di magrezza).
  • I cambiamenti del mediatore si correlano con quelli degli esiti.
  • I cambiamenti del mediatore si verificano prima di quelli degli esiti.
  • Gli effetti dell’intervento diventano significativamente più deboli quando sono controllati per il cambiamento del mediatore (Stice et al., 2007a).

Le analisi sui mediatori sono state replicate successivamente in due trial indipendenti (Seidel et al., 2009, Stice et al., 2011). Da questi studi è anche emerso che  il cambiamento dell’insoddisfazione corporea possa essere un mediatore parziale.

I partecipanti allocati a un intervento di alta dissonanza, indotto enfatizzando la natura volontaria del programma ad ogni seduta e dicendo che i compiti a casa erano opzionali, aumentando la responsabilità dei partecipanti (es. riprendendo tutte le sedute con un videoregistratore, mettendo il nome in stampatello sui compiti a casa, non facendo alcuna discussione sulla riservatezza, postando delle lettere contro-attitudinali sul web) e incrementando lo sforzo necessario (es, rendendo i compiti a casa più difficili e richiedendo una maggiore partecipazione durante le sedute) hanno ottenuto una maggiore riduzione dei sintomi dei disturbi dell’alimentazione rispetto a quelli allocati a un intervento di bassa dissonanza (Green et al., 2005, McMillan et al., 2011). Questi dati forniscono una prova a favore dell’ipotesi che il meccanismo d’azione dell’intervento sia un’induzione della dissonanza cognitiva.

Analisi preliminari costo-beneficio suggeriscono che una spesa di $64 per studente per somministrare il programma può far risparmiare centinai di dollari  per studente e che se solo uno studente sviluppa un disturbo dell’alimentazione ed è ricoverato il programma è costo-efficace.

La disponibilità del manuale italiano del programma Progetto Corpo (Stice and Presnell, 2011) offre l’opportunità di implementare e di valutare gli effetti di questo interventi di prevenzione selettiva anche nella popolazione italiana. Alcune esperienze preliminari eseguite con questo programma in provincia di Verona indicano che l’intervento è ben apprezzato dai partecipanti e sembra ottenere risultati promettenti anche nella popolazione italiana.

Infine, per facilitare la disseminazione dell’intervento, è stata resa disponibile al grande pubblico una versione online del programma Progetto Corpo, chiamata eBody Project – https://www.ebodyproject.org, che è in corso di valutazione.

Gestione salutare del peso

Il programma è stato inizialmente progettato per il gruppo di controllo in uno studio che valutava l’intervento di dissonanza cognitiva. Il programma prevede quattro sedute di un’ora che insegnano alla partecipanti come raggiungere e mantenere un peso salutare facendo piccoli e graduali cambiamenti della loro dieta e della loro attività fisica. L’intervento testato in uno studio randomizzato e controllato ha prodotto un miglioramento significativamente maggiore, rispetto ai partecipanti assegnati all’intervento di controllo che prevedeva esercizi di scrittura espressiva, dell’interiorizzazione dell’ideale di magrezza e dell’aumento di peso. Il dato più importante è che i partecipanti all’intervento di gestione salutare del peso hanno avuto una riduzione del 61% dell’insorgenza di patologia alimentare e una riduzione del 55% del rischio d’insorgenza di obesità rispetto ai controlli durante il periodo di trea anni di follow-up. Questi dati indicano che gli effetti sono clinicamente importanti e duraturi (Stice et al., 2008a).

Il programma Gestione Salutare del Peso è disponibile in lingua italiana (Stice and Presnell, 2011)  e può essere applicato con minime modifiche anche nelle nostra popolazione.

Girl talk

È  un intervento breve di 10 sedute che ha promosso l’approccio critico ai media, l’accettazione del corpo, i comportamenti salutari per il controllo del peso e la capacità di gestione dello stress usando il supporto dei pari e ha fornito informazioni riguardanti i determinanti del peso corporeo. L’intervento, somministrato da infermiere professionali in una scuola, ha prodotto riduzioni maggiormente significative nell’insoddisfazione corporea, nella restrizione dietetica e nei sintomi bulimici rispetto a quelle osservate nei controlli sia alla conclusione sia a tre mesi di follow-up (McVey et al., 2003).

Weigh to eat

È un programma psicoeducazionale universale che incorpora i principi della teoria sociale-cognitiva per la modificazione comportamentale. L’intervento, somministrato da educatori sanitari, ha una durata di 10 ore e presenta informazioni sui comportamenti salutari di controllo del peso, sull’immagine corporea, sui disturbi dell’alimentazione, sulle loro cause e sulla capacità di resistere alle pressioni sociali. Il programma ha prodotto un miglioramento significativo della conoscenza, dei comportamenti salutari di controllo del peso, della restrizione dietetica e delle abbuffate a sei mesi di follow-up, sebbene solo gli effetti sulle abbuffate siano rimasti significativi a 24 mesi di follow-up rispetto ai controlli.

Student bodies

È un programma di otto settimane somministrato attraverso il computer e basato su un intervento cognitivo comportamentale sull’insoddisfazione corporea che fornisce informazioni sui disturbi dell’alimentazione, sul controllo salutare del peso, sulla nutrizione ed email di supporto. Il programma ha determinato una riduzione significativa dell’insoddisfazione corporea (Low et al., 2006), un esito positivo replicato da un altro studio  (Taylor et al., 2006).

AIDAP eating disorder prevention program 

Il programma è un intervento di prevenzione universale basato su una concezione allargata cognitivo comportamentale dei disturbi dell’alimentazione e progettato per prevenire lo sviluppo di questi disturbi promuovendo la riduzione della restrizione dietetica cognitiva e i livelli di preoccupazione per il peso e la forma del corpo dei partecipanti. Il programma ha usato un approccio educativo interattivo associato a procedure di ristrutturazione cognitiva, compiti a casa, role-playing, attività pratiche e discussioni di gruppo. Le sei sedute del programma, valutato in Italia da uno studio controllato, hanno prodotto nel gruppo sperimentale un miglioramento della conoscenza e una diminuzione di alcune attitudini disfunzionali mantenute a 12 mesi di follow-up (Dalle Grave et al., 2001). Una replicazione del programma in uno studio controllato con sei mesi di follow-up su un campione di giovani studenti in Croazia ha confermato la sua efficacia nel ridurre le attitudini disfunzionali, determinando anche una riduzione dei comportamenti dietetici restrittivi (Pokrajac-Bulian et al., 2006).

Implicazioni per gli stakeholder del salute

I risultati ottenuti dai programmi di prevenzione scolastica dei disturbi dell’alimentazione permettono di suggerire alcuni suggerimenti pratici che possono essere utili per chiunque sia impegnato nel campo della prevenzione scolastica.

Primo, non esiste alcuna evidenza statistica indicante che i programmi di prevenzione scolastica esaminati dalle revisioni sistematiche producano effetti dannosi negli studenti (Pratt and Woolfenden, 2002, Dalle Grave, 2003). I risultati fino ad ora ottenuti possono rassicurare i genitori e gli insegnanti che la prevenzione scolastica dei disturbi dell’alimentazione non ha effetti generali dannosi sui comportamenti e le attitudini degli studenti.

Secondo, i risultati promettenti osservati con i programmi di prevenzione selettiva negli studenti ad alto rischio dovrebbe incoraggiare gli stakeholder della salute a promuovere ed investire risorse economiche in questi interventi negli adolescenti, in particolare quelli con più di 15 anni, a rischio di sviluppare un disturbo dell’alimentazione. I programmi, preferibilmente somministrarti da professionisti, dovrebbero affrontare i fattori di rischio empiricamente stabiliti e promuovere un salutare controllo del peso. Dal momento che i programmi selettivi possono avere la potenzialità intrinseca di produrre la discriminazione dei partecipanti, la ricerca futura dovrebbe studiare anche strategie per evitare che questo possa accadere. Alcune recenti tecnologie (es. CD-roms, compiti a casa su Internet, chat room guidate) possono aiutare a risolvere questi potenziali problemi (Dalle Grave, 2003).

Terzo, i risultati scadenti ottenuti dai programmi di prevenzione universale suggeriscono che per il momento non è consigliabile dedicare risorse economiche in modo indiscriminato per questi interventi. Dal momento, però, che alcuni casi clinici di disturbi dell’alimentazione derivano dal gruppo di studenti a basso rischio, la ricerca sulla prevenzione universale dovrebbe continuare e la scuola rimane un luogo importante dove poter effettuare queste interventi. Poiché i programmi di prevenzione universale non sono generalmente efficaci nel migliorare i comportamenti non salutari, nel progettare nuovi programmi è auspicabile porre più enfasi sui cambiamenti comportamentali includendo un maggior legame tra la conoscenza, le attitudini e i comportamenti (Steiner-Adair et al., 2002).La Tabella 4 riporta alcuni suggerimenti per gli stakeholder della salute per ottimizzare l’implementazione e la valutazione dei programmi di prevenzione scolastici dei disturbi dell’alimentazione (Dalle Grave, 2003).

Tabella 4. Suggerimenti per gli stakeholder della salute per ottimizzare l’implementazione e la valutazione dei programmi di prevenzione scolastici dei disturbi dell’alimentazione


 

  1. I programmi di prevenzione devono essere inseriti facilmente nel contesto dell’orario scolastico con lezioni di durata non superiore ai 60 minuti.
  2. I conduttori dei programmi devono essere estensivamente preparati prima d’iniziare l’intervento.
  3. Il programma deve essere scritto in dettaglio in un manuale per facilitare la fedeltà e la disseminazione dell’intervento.
  4. La fedeltà al programma deve essere sempre monitorata, specialmente se l’intervento è effettuato lontano dal team che conduce l’intervento. Per aumentare la fedeltà, oltre ad avere una scaletta dettagliata degli interventi da effettuare, è necessario registrare su un audio-cassetta il programma affinché il supervisore della ricerca possa valutare se l’intervento è stato applicato in modo corretto.
  5. Per eliminare possibili contaminazioni è consigliabile usare un gruppo di controllo in un luogo diverso dalla scuola in cui è applicato l’intervento di prevenzione.
  6. È importante coinvolgere nel programma di prevenzione la maggior parte degli adulti a contatto diretto o indiretto con gli studenti (genitori, insegnati, preside, amministratori scolastici, ecc.).
  7. Incontri di rinforzo (“booster sessions”) dovrebbero essere pianificati di routine per mantenere e aumentare l’efficacia dell’intervento.
  8. I programmi dovrebbero selezionare misure di esito qualitative e quantitative per valutare gli esiti primari e secondari che si desiderano raggiungere e anche la possibile comparsa di effetti negativi.
  9. Follow-up a breve termine (6 mesi) e a lungo termine (1 o più anni) dovrebbero essere pianificati ed effettuati per valutare gli dell’intervento.

Direzioni future

Gli esisti scadenti dei programmi di prevenzione può essere in larga parte attribuita alla nostra limitata conoscenza dei fattori di rischio dei disturbi dell’alimentazione e all’insufficienza efficacia dei metodi usati per manipolare i fattori di rischio potenziali identificati. I risultati incoraggianti ottenuti dai programmi preventivi di terza generazione suggeriscono che la ricerca ha però le capacità potenziale di migliorare l’esito degli interventi di prevenzione. Nei paragrafi seguenti sono suggerite alcune strategie per cercare di migliorare i programmi futuri di prevenzione scolastica dei disturbi dell’alimentazione.

Affidarsi maggiormente alla ricerca effettuata sui fattori di rischio

La maggior parte dei programmi di prevenzione scolastica dei disturbi dell’alimentazione è stata progettata senza essere guidata dalla moderna ricerca sui fattori di rischio. Sebbene la conoscenza dei fattori di rischio causali sia ancora scadente è raccomandabile che i futuri programmi di prevenzione siano empiricamente costruiti con lo specifico proposito di affrontare i fattori di rischio causali evidenziati dalla ricerca.

È anche importante sviluppare nuovi strumenti per identificare gli individui ad altro rischio basandosi sulle ultime scoperte della ricerca sui fattori di rischio.

Superare i difetti metodologici

La maggior parte degli studi soffre di numerosi difetti metodologici. Molti studi pubblicati non includono un gruppo di controllo e senza questa condizione è impossibile distinguere gli effetti dell’intervento da quelli del passare del tempo. La maggior parte degli studi non ha usato la randomizzazione per assegnare i partecipanti alle condizioni esaminate e solo pochi hanno incluso il placebo come condizione di controllo. In molti casi il follow-up è stato inadeguato per poter raggiungere delle  conclusioni utili. Nella maggior parte degli studi le misure di esito utilizzate sono state questionari di auto-somministrazione. Tali strumenti tendono a sovrastimare la psicopatologia e non rappresentano il modo ideale per valutare le caratteristiche dei disturbi dell’alimentazione. Oltre a ciò, le misure di esito utilizzate, con l’eccezione dello studio di Stice (2008a), tendono a valutare la modificazione delle attitudini e dei comportamenti e non il vero effetto dei programmi di prevenzione sull’incidenza dei disturbi dell’alimentazione. Numerosi studi, infine, hanno limitazioni statistiche, non avendo condotto appropriati test inferenziali per valutare gli effetti dell’intervento (es. ANOVA per misure ripetute) e gli effetti del dimensione del campione.

Importare strategie da altri campi della prevenzione e dal trattamento dei disturbi dell’alimentazione

Alcune strategie per migliorare l’efficacia dei programmi di prevenzione per i disturbi dell’alimentazione possono essere imparate da altri campi della prevenzione (es. depressione). Ad esempio, alcuni interventi psicosociali sono stati disegnati con il proposito di ridurre il rischio di depressione nei figli di genitori depressi, senza tenere conto della trasmissione del rischio (genetico o appreso) (Pearson et al., 2002).  Nessuno studio, fino ad ora, è stato mirato ai figli dei genitori affetti da disturbi dell’alimentazione.

Un altro campo, da dove potrebbero utilizzare qualche strategia i ricercatori che si occupano di prevenzione, è l’auto-aiuto con manuali adottato nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione più lievi. Questo approccio ha evidenziato effetti positivi nel trattamento della bulimia nervosa e del disturbo da alimentazione incontrollata (Loeb et al., 2000, Dalle Grave, 1997). L’auto-aiuto con i manuali può essere usato senza l’aiuto di un terapeuta (auto-aiuto puro) o con il supporto e la guida di un terapeuta, anche non specialista (auto-aiuto guidato). I contenuti di alcuni libri di auto-aiuto (Fairburn, 1995, Dalle Grave, 1998) sono derivati dalla teoria e terapia cognitivo comportamentale della bulimia nervosa, la più efficace forma di trattamento valutato nelle ricerche controllate (Wilson and Shafran, 2005).  L’auto-auto con manuali usa alcune strategie efficaci per aumentare la motivazione al cambiamento, per ridurre la restrizione alimentare e l’eccessiva importanza attribuita al peso e alla forma del corpo. Le ricerche sulla prevenzione, con poche eccezioni (Stice et al., 2008a), hanno completamente trascurato l’importanza di aumentare la motivazione dei partecipanti e non hanno sistematicamente usato le efficaci strategie cognitivo comportamentali per ridurre i comportamenti e le attitudini disfunzionali sull’alimentazione, sul peso e sulla forma del corpo. L’uso di alcune strategie dimostratesi efficaci nell’auto-aiuto con manuali potrebbe essere un modo per ottenere dei risultati positivi con interventi di prevenzione indicata a individui che mostrano i prodromi del disturbo dell’alimentazione.

Integrare la prevenzione dei disturbi dell’alimentazione con quella dell’obesità

Ci sono molte ragioni per integrare la prevenzione dei disturbi dell’alimentazione con quella dell’obesità (Neumark-Sztainer, 2003, Haines and Neumark-Sztainer, 2006, Dalle Grave, 2003). Primo, i disturbi dell’alimentazione e l’obesità spesso coesistono. Studi caso-controllo hanno dimostrato che l’obesità è un fattore di rischio per la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata (Fairburn et al., 1997) e altre ricerche hanno evidenziato che il disturbo da alimentazione incontrollata è molto comune tre le persone affette da obesità (de Zwaan, 2001). Secondo, un solo intervento è più economico di due, un punto importante da considerare in un periodo di crisi economica globale. Terzo, l’eliminazione di potenziali messaggi conflittuali sulla nutrizione, sull’attività fisica e sull’immagine corporea e di potenziali effetti iatrogeni generati da programmi somministrati separatamente (es. strategie per prevenire l’obesità, come ad esempio monitorare l’assunzione di alimenti, potrebbero promuovere un’eccessiva preoccupazione per l’alimentazione, il peso e le forme corporee e viceversa strategie finalizzate ad eliminare qualsiasi forme di restrizione alimentare potrebbero favorire l’adozione di un’alimentazione in eccesso e lo sviluppo di soprappeso).

Un approccio integrato, che bilanci l’importanza di seguire uno stile di vita salutare per evitare lo sviluppo di obesità con l’importanza di accettare la diversità genetica del corpo umano per evitare lo sviluppo di disturbi dell’alimentazione, è una sfida che dovrà essere affrontata e valutata nelle future ricerche. Ad ogni modo, per sviluppare un efficace programma di prevenzione combinato è essenziale identificare con maggiore chiarezza i fattori di rischio condivisi tra obesità e disturbi dell’alimentazione. Alcuni dati preliminari indicano che la dieta, l’uso dei media, l’insoddisfazione corporea e le canzonature sul peso e la forma del corpo possono essere rilevanti per lo sviluppo sia dell’obesità sia dei disturbi dell’alimentazione (Haines and Neumark-Sztainer, 2006).

Un parziale supporto all’integrazione dei due campi deriva dai risultati di un programma di prevenzione scolastica dell’obesità (Planet Health) finalizzato a promuovere un’alimentazione salutare e l’attività fisica che ha prodotto una riduzione più significativa nel gruppo sperimentale rispetto al gruppo di controllo nell’insorgenza di nuovo comportamenti disturbati di controllo del peso, come ad esempio il vomito autoindotto o l’uso improprio di lassativi o l’uso di farmaci dimagranti (Austin et al., 2007). Anche i risultati positivi nel prevenire sia l’aumento di peso sia l’insorgenza di disturbi dell’alimentazione del programma Gestione Salutare del Peso (vedi sopra) (Stice et al., 2008a) sono un’ulteriore prova sull’utilità di integrare la prevenzione dell’obesità e dei disturbi dell’alimentazione.

Creare un ambiente con meno fattori di rischio 

I fattori socioculturali sembrano giocare un ruolo chiave nello sviluppo dei disturbi dell’alimentazione, un’affermazione supportata da almeno quattro line di evidenza (Striegel-Moore et al., 2007): (1) la preponderanza di individui colpiti da disturbi dell’alimentazione appartiene al genere femminile;  (2) l’aumentata incidenza dei disturbi dell’alimentazione è associata con la diminuzione del peso ideale delle donne; (3) la maggiore incidenza e prevalenza di disturbi dell’alimentazione nelle culture che valorizzano l’ideale di magrezza e (4) l’associazione significativa tra interiorizzazione dell’ideale di magrezza e sviluppo futuro di disturbi dell’alimentazione.

È molto improbabile che semplici e brevi programmi scolastici di prevenzione saranno in grado di produrre una reale riduzione dell’incidenza e della prevalenza dei disturbi dell’alimentazione senza azioni finalizzate a cambiare i fattori di rischio socioculturali. Lo spostamento da un modello di prevenzione basato sulla responsabilità personale verso un modello di prevenzione di salute pubblica è stata promossa con forza nel campo dell’obesità (Brownell and Horgen, 2004). Le istituzione che si occupano di salute pubblica hanno la responsabilità di assicurare la sicurezza della popolazione e i cambiamenti ambientali (Brownell and Horgen, 2004), incluso la taglia corporea delle motelle rappresentate nei media, il controllo della pubblicità dell’industria della dieta, la disponibilità di abiti per tutte le taglie corporee, la lotta contro il pregiudizio nei confronti dell’obesità e la disponibilità di cibo salutare a tutte le classi sociali. Un esempio che ha prodotto cambiamenti positivi sono le campagne anti fumo che hanno combinando l’intervento educativo con azioni di salute pubblica, come ad esempio la proibizione di fumare nei luoghi pubblici e le tasse sul tabacco.

Qualche tentativo per modificare alcuni fattori di rischio ambientali per i disturbi dell’alimentazione è stato fatto in alcuni Paesi occidentali. In Italia, ad esempio,   è stato pubblicato il Manifesto di Autoregolamentazione della Moda Italiana Contro l’Anoressia (Ministro per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive, 2006) che ha raccomandato, ma non obbligato, ai produttori di moda di: (1) disseminare un modello di bellezza mediterraneo; (2) proteggere la salute delle modelle non permettendo di partecipare alle sfilate quelle che hanno una diagnosi di disturbo dell’alimentazione di gravità clinica valutato da un medico e che tenga conto anche dell’IMC; (3) non far sfilare modelle di età inferiore ai 16 anni; (4) promuovere presso gli associati e le aziende che sfilano l’inserimento generalizzato nella produzione delle collezioni per il consumatore finale delle taglie 46 e 48; (5) affiancare le istituzioni e le associazioni mediche specializzate nel promuovere campagne di comunicazione che modifichino positivamente i modelli estetici ispiratori della formazione dell’identità e dei comportamenti sociali; (6) impegnarsi a prevedere nei regolamenti interni misure idonee a garantire il rispetto dei principi espressi nel manifesto.

Sebbene nessun dato sia disponibile sull’effetto di questa e di altre iniziative di salute pubblica, questi sforzi aprano una nuova era nel campo della prevenzione dei disturbi dell’alimentazione.

Conclusioni

La prevenzione scolastica dei disturbi dell’alimentazione è ancora nella sua infanzia. Recentemente, comunque, risultati promettenti sono stati raggiunti nell’identificare alcuni fattori di rischio e piccoli, ma significativi, progressi nello sviluppare e valutare interventi innovativi di prevenzione.

I risultati ottenuti degli studi controllati devono rassicurare i genitori, gli insegnanti e gli stakeholder della salute che i programmi di prevenzione scolastica dei disturbi dell’alimentazione non hanno effetti dannosi sui comportamenti e le attitudini degli studenti. I programmi selettivi di prevenzione hanno ottenuto risultati promettenti e risultati positivi sono stati raggiunti usando un approccio interattivo, basato sulla dissonanza e somministrato a partecipanti nella media-tarda adolescenza. I programmi scolastici di prevenzione universale hanno purtroppo prodotto risultati deludenti e forse è giunta l’ora, se vogliamo davvero provare a raggiungere una riduzione reale dell’incidenza dei disturbi dell’alimentazione, di spostare gli sforzi da un approccio solo sull’individuo a un intervento di salute pubblica che cerchi di creare un ambiente più sano con meno fattori di rischio.

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