Massimiliano Sartirana e Riccardo Dalle Grave
Fonte: Fairburn, C.G, Bailey-Straebler, S., Basden, S., Doll, H.A., Jones, R., Murphy, R., O’Connor, M.E., Zafra Cooper, A transdiagnostic comparison of enhanced cognitive behaviour therapy (CBT-E) and interpersonal psychotherapy in the treatment of eating disorders, Behaviour Research and Therapy (2015), doi: 10.1016/j.brat.2015.04.010.
Lo studio eseguito presso il Center of Research on Eating Disorders dell’Università di Oxford (CREDO) si è posto due obiettivi principali: (i) confrontare la terapia cognitivo comportamentale migliorata (CBT-E) con la terapia interpersonale (IPT); (ii) valutare se l’efficacia della CBT-E, verificata nell’originale e ampio trial randomizzato e controllato pubblicato nel 2009 ed eseguito in pazienti con bulimia nervosa e disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati non sottopeso (1), può essere replicata quando è reclutato un equivalente campione di pazienti e la CBT-E è stata somministrata allo stesso modo.
Il disegno dello studio è quello di un trial randomizzato e controllato eseguito in pazienti con disturbo dell’alimentazione e con indice di massa corporea (IMC) >17.5 e <40.0. I pazienti eleggibili sono stati randomizzati alla CBT-E o all’IPT, due trattamenti che prevedono 20 sedute da eseguirsi in 20 settimane.
La valutazione dell’efficacia dei trattamenti è state eseguita con l’Eating Disorder Examination Interview (EDE.16.0D) e l’Eating Disorder Examination-Questionnaire (EDE-Q), per valutare la psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazioe, il Clinical Impairment Assessment (CIA), per valutare il danno psicosociale derivante dal disturbo dell’alimentazione, la SCID-DSM-IV (Intervista Clinica Strutturata) e il Beck Depression Inventory (BDI), per valutare la comorbidità psichiatrica e la depressione coesistente, rispettivamente. Le valutazioni sono state eseguito all’inizio, alla fine del trattamento e a 20, 40 e 60 settimane di follow-up da valutatori che erano all’oscuro della condizione di trattamento del partecipante e non erano coinvolti nel trattamento.
Il campione di pazienti è stato reclutato da pazienti inviati da medici di famiglia e da altri clinici al servizio clinico di Oxfordshire nel Regno Unito. I criteri di esclusione sono stati i seguenti: (i) l’aver già eseguito un trattamento simile alla CBT-E e IPT (13 soggetti esclusi); (ii) la presenza di un disturbo psichiatrico generale coesistente che preclude un trattamento focalizzato sul disturbo dell’alimentazione come la presenza di depressione clinica grave, disturbo bipolare e marcata agorafobia (16 pazienti esclusi); (iii) la presenza di instabilità medica o di gravidanza (13 pazienti esclusi); il non essere disponibili a partecipare al trattamento (13 pazienti esclusi). Prima di entrare nello studio i pazienti hanno sospeso un eventuale trattamento psichiatrico, fatta eccezione del trattamento farmacologico per la depressione clinica che è stato mantenuto durante il trattamento.
I terapeuti che hanno preso parte allo studio (due psicologi clinici, uno con un esperienza nell’esecuzione della CBT-E e l’altro nell’IPT, e un’infermiera professionale) avevano un’esperienza clinica nel trattamento dei pazienti con disturbo dell’alimentazione. Durante lo studio sono stati condotti incontri di supervisione settimanale condotti da Christopher Fairburn e Zafra Cooper. Tutte le sedute del trattamento sono state registrate e ogni settimana alcune sedute a caso sono state scelte e ascoltate dai due supervisori. La qualità della conduzione dei due trattamenti è stata anche valutata da un valutatore indipendente usando l’adattamento di uno strumento sviluppato per il precedente trial che aveva confrontato CBT e IPT.
65 partecipanti sono stati assegnati a randon alle due condizione di trattamento. Di questi 130, 53 (40,8%) avevano una diagnosi di bulimia nervosa, 8 di disturbo da binge-eating (6,2%) e 69 (53,1 %) di disturbo dell’alimentazione non altrimenti specificato.
I punteggi relativi alle aspettative e all’idoneità al trattamento sono state elevate e non diverse tra i due trattamenti e anche i punteggi relativi alla fedeltà al trattamento sono stati elevati con oltre i due terzi delle sedute valutate come eccellenti.
29 partecipanti (22,3%) non hanno completato tutte le 20 sedute di trattamento (bulimia nervosa 32,1% 0% disturbo da binge-eating 0% e disturbo dell’alimentazione non altrimenti specificato 17,4%).
Alla fine del trattamento, i livelli di psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione e generale sono diminuiti significativamente in entrambi i trattamenti, ma i cambiamenti sono stati significativamente maggiori nei partecipanti allocati alla CBT-E. La percentuale di partecipanti trattati con CBT-E che ha raggiunto la remissione, ovvero un punteggio all’EDE globale inferiore a 1,74, alla valutazione intent to treat è stata quasi due volte superiore a quella dei partecipanti trattati con l’IPT. Quasi la metà dei partecipanti trattati con la CBT-E (44,8%, 26/58) non riportava episodi bulimici, vomito autoindotto o uso improprio di lassativi alla fine del trattamento, rispetto al solo 21,7% (13/60) dei partecipanti trattati con l’IPT. I cambiamenti osservati sono stati maggiori tra i partecipanti che hanno concluso il trattamento con una remissione in circa 3/4 di partecipanti trattati con la CBT-E rispetto a solo poco più più di un terzo in quelli trattati con l’IPT. Al follow-up di 60 settimane la percentuale di partecipanti che hanno soddisfatto i criteri di remissione è aumentata, in particolare in quelli trattati con l’IPT, ma il tasso di remissione di quelli trattati con la CBT-E è rimasta significativamente superiore (CBT- E 69.4%, IPT 49.0%; p=0.028).
Per quanto riguarda il secondo obiettivo dello studio, il tasso di remissione ottenuto dai partecipanti trattati con la CBT-E è stato molto simile a quello dello studio del 2009 (67% e 66% alla fine del trattamento e 69% e 63%, rispettivamente).
Commenti
i dati dello studio indicano che la CBT-E è un trattamento potente per i pazienti ambulatoriali non marcatamente sottopeso affetti da disturbi dell’alimentazione e che l’IPT rimane un’alternativa alla CBT-E, ma la sua risposa è meno pronunciata e più lenta ad essere espressa. La capacità della CBT di operare rapidamente non è sorprendente, visto che è stata ideata per affrontare direttamente la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione, mentre l’IPT probabilmente agisce indirettamente sui processi interpersonali nel determinare il cambiamento.
Lo studio risulta metodologicamente ineccepibile e per questo presenta tre punti di forza. Il primo è che ha reclutato un campione clinicamente rilevante con pochi criteri di esclusione. Il secondo è che il campione era veramente transdiagnostico nella sua natura. Terzo è che sono state prese tutte le cautele per fare in modo che i due trattamenti fossero ben eseguiti e in accordo ai loro protocolli all’interno di un setting ambulatoriale, contrariamente a quanto successo nell’Antop Study (2) in cui la CBT-E è stata condotta e supervisionata da persone non esperte nella CBT-E e in cui sono stati inseriti un gruppo di soggetti (un terzo) ricoverati nel corso dei trattamenti, una scelta che ha minato inevitabilmente la validità interna e le conclusioni che invece sono state tratte dai loro autori.
Lo studio presenta anche dei limiti. Il primo è che si tratta di uno studio condotto su soggetti adulti con disturbo dell’alimentazione e per questo i suoi risultati non sono generalizzabili a pazienti più giovani. Il secondo è che è stato valutato un campione con IMC compreso tra 17.5 e sotto 40 e quindi non si possono generalizzare risultati a soggetti con un IMC diverso da questo. Per ultimo non sono stati riportati risultati sui mediatori o i moderatori della risposta ai due trattamenti. C’è da parte del gruppo di Oxford l’intenzione di esaminare la presenza di moderatori di risposta alla CBT-E e all’IPT e di verificare specifiche ipotesi mediazionali rispetto a come operano i due trattamenti per poi pubblicare i risultati ottenuti.
Infine, i risultati sottolineano il valore della ricerca in campioni transdiagnostici di partecipanti, come sostenuto dall’iniziativa RDoC (3-4), perché risultati come quelli ottenuti in questo studio difficilmente possono emergere da ricerche che includono partecipanti con una singola categoria diagnostica.
Referenze
- Fairburn, C. G., Cooper, Z., Doll, H., O’Connor, M., Bohn, K., Hawker, D., … Palmer RL. (2009). Transdiagnostic cognitive-behavioral therapy for patients with eating disorders: a two-site trial with 60-week follow-up. American Journal of Psychiatry, 166, 311–319.
- Zipfel, S., Wild, B., Groß, G., Friederich, H., Teufel, M., Schellberg, D., … Herzog, W. (2014). Focal psychodynamic therapy, cognitive behaviour therapy, and optimised treatment as usual in outpatients with anorexia nervosa (ANTOP study): randomised controlled trial. The Lancet, 383, 127–137.
- Insel, T. (2014). The NIMH research domain criteria (RDoC) project: precision medicine for psychiatry. American Journal of Psychiatry, 171, 395–397.
- Insel, T., Cuthbert, B., Garvey, M., Heinssen, R., Pine, D. S., Quinn, K., … Wang, P. (2010). Research Domain Criteria ( RDoC ): Toward a new classification framework for research on mental disorders. American Journal of Psychiatry, 167, 748–751.