La persistenza enigmatica dell’anoressia nervosa

A cura di: Massimiliano Sartirana1 e Riccardo Dalle Grave2.

1UOL AIDAP Verona. 2Unità di Riabilitazione  Nutrizionale. Casa di Cura Villa Garda

Fonte: Walsh BT: The enigmatic persistence of anorexia nervosa. Am J Psychiatry 2013, 170:477-484.

L’anoressia nervosa è uno dei disturbi mentali più letali con un tasso di mortalità stimato almeno cinque volte superiore a quello previsto. Inoltre, sebbene l’esito sia variabile e molte persone colpite raggiungano una remissione piena, un ampio numero di casi mostra un decorso persistente.  I pochi fattori conosciuti associati a un esito più favorevole sono l’insorgenza adolescenziale (in contrasto con l’insorgenza in età adulta) e la durata più breve della malattia. Il significato positivo di un precoce esordio adolescenziale dell’anoressia nervosa è in contrasto con quanto accade nei disturbi dell’umore e nei disturbi psicotici, in cui l’insorgenza precoce in età adolescenziale è associata a un decorso più persistente.

Wash, psichiatra americano che ha guidato la task force DSM-5 per stabilire i nuovi criteri diagnostici dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, ha recentemente pubblicato un articolo in cui ha presentato un’ipotesi originale per spiegare la persistenza dell’anoressia nervosa che merita di essere descritto e commentato.

La dieta nell’anoressia nervosa è un comportamento “abituale”

Secondo Graybiel le abitudini sono comportamenti non innati eseguiti ripetutamente che diventano fissi, sembrano verificarsi senza uno sforzo cosciente e sono elicitati da una varietà di stimoli. Secondo Walsh, la dieta adottata dalla persone con anoressia nervosa è un comportamento che soddisfa questa definizione.

Come si sviluppano le abitudini

Due processi legati ma distinti sono responsabili dell’acquisizione e della persistenza dei comportamenti non innati. Il primo è il processo dell’apprendimento basato sull’esito dell’azione, chiamato anche condizionamento strumentale o operante.  Il secondo processo è quello dello stimolo-risposta, chiamato anche condizionamento classico. Su questi due processi è stata condotta molta ricerca di laboratorio sugli animali in particolare nei roditori, ma gli aspetti chiave sono stati confermati anche negli esseri umani.

Nel processo del condizionamento operante un animale scopre che un’azione (per esempio, premere una leva) produce una ricompensa e la probabilità che adotti nuovamente quel comportamento sarà tanto più elevata quanto maggiore è il valore della ricompensa. Questa forma di apprendimento è critica per l’acquisizione di nuovi comportamenti e coinvolge specifici vie neurali come l’amigdala, lo striato ventrale (il nucleo accumbens) e la corteccia orbito frontale.

I nuovi comportamenti acquisiti attraverso il condizionamento operante, se sono ripetuti e continuano a portare all’acquisizione di ricompense, diventano progressivamente più insensibili alla ricezione della ricompensa. Gli stimoli associati regolarmente alla ricompensa, però, possono essi stessi diventare condizionati e quindi determinare l’esecuzione del comportamento. In questo modo il processo del condizionamento classico diventa la base per la formazione dell’abitudine.  Le strutture neurali coinvolte nel condizionamento classico sono lo striato dorso laterale (il caudato/putamen) e la corteccia prefrontale dorso laterale.

Un elemento critico per l’apprendimento basato sul meccanismo stimolo-risposta è l’overtraining – ovvero la ripetizione del comportamento. Un termine popolare che si riferisce a questo fenomeno in campo sportivo è lo sviluppo della “memoria muscolare” acquisita, per esempio, praticando ripetutamente uno swing di baseball. “Memoria muscolare” è un termine improprio, perché i muscoli non hanno capacità di memoria; è, infatti, il cervello che impara uno swing produttivo stimolato dalla comparsa della palla da baseball.

Walsh trasferisce questi principi a un modello in cui cerca di spiegare lo sviluppo e il mantenimento dell’anoressia nervosa, ipotizzando che la dieta in questi individui inizi come un’azione diretta all’obiettivo di perdere peso, ma che poi si mantenga e si intensifichi attraverso gli effetti combinati di rinforzi positivi interni ed esterni.

I rinforzi positivi interni includono il vivere l’iniziale perdita  di peso come l’evidenza di autocontrollo e di un personale raggiungimento che favoriscono un aumento dell’autostima.

I rinforzi positivi esterni fanno riferimento al fatto che molti individui che sviluppano l’anoressia nervosa ricevono dei complimenti all’inizio della loro perdita di peso – stimolati tra l’altro dalla cultura occidentale in cui il successo nella perdita di peso è spesso incoraggiato ed è raramente raggiunto.

Inoltre, gli individui con anoressia nervosa frequentemente riportano che la dieta li aiuta anche a gestire emozioni negative, un dato confermato anche sperimentalmente. Ricerche basate sulla procedura dell’ecological momentary assessment hanno, infatti, evidenziato che un aumento dell’intensità delle emozioni negative è seguita dalla restrizione alimentare. È stato anche evidenziato che l’induzione di un’emozione negativa in un setting di laboratorio porta a un aumento riferito dei sintomi del disturbo dell’alimentazione. Queste osservazioni suggeriscono che la dieta possa diventare un mezzo per modulare lo stress emotivo e in questo modo il rilassamento dallo stato emotivo negativo costituisce probabilmente un addizionale rinforzo negativo (evitamento di una situazione avversiva) del comportamento di dieta.

Come la dieta diventa persistente

Una volta che Il comportamento di dieta si insinua, ed è eseguito ripetutamente e intensificato dai rinforzi descritti sopra, gradualmente diventa persistente. A questo processo contribuiscono anche alcuni stimoli neutri (per esempio, il piatto, le posate, le persone con cui si mangia, ecc.) che a loro volta diventano stimoli condizionati, aumentando la frequenza della dieta.

Inoltre la dieta stessa diventa gradualmente rinforzante. Tale fenomeno è considerato cruciale nello sviluppo del complesso set di stimoli che nel tempo diventano associati al craving, per esempio nei problemi legati alle dipendenze da alcol o droghe. Questo fenomeno aiuta a spiegare anche la distinzione tra cibi “buoni” (a basso contenuto calorico) e “cattivi” ad alto contenuto calorico”, descritto con rimarchevole consistenza da individui con anoressia nervosa e le difficoltà che essi sperimentano nel fare anche piccoli cambiamenti della loro alimentazione.

Le ricompense sono più rinforzanti durante l’adolescenza

Gli adolescenti sono sproporzionatamente sensibili alla ricezione di una ricompensa. Per esempio, è stato osservato che la risposta dello striato ventrale a stimoli ricompensanti (un luogo ben stabilito nella valutazione del valore ricompensativo potenziale di uno stimolo) è maggiore negli adolescenti rispetto ai bambini e agli adulti.

L’attrazione agli stimoli ricompensanti, associata alla relativa immaturità dei sistemi neurali inibitori, suggerisce che essa sia un importante fattore sottostante alla vulnerabilità degli adolescenti per lo sviluppo di abuso di sostanze e può, allo stesso modo, contribuire alla vulnerabilità all’anoressia nervosa durante questo periodo dello sviluppo.

La dieta diventa un comportamento abituale

Walsh ipotizza anche che altri tre processi possano rendere la dieta un comportamento abituale e persistente.

Il primo fa riferimento al processo dell’intermittenza della ricompensa, definito  anche “rinforzo intermittente”. Nei fatti, le ricompense del comportamento di dieta sono intermittenti perché la perdita di peso non accade sempre e anche il ricevere complimenti per il fatto di perdere peso avviene occasionalmente. A questo proposito, il lavoro di Skinner sul condizionamento operante ha evidenziato che un sistema intermittente e non anticipato da rinforzi è molto più potente e favorisce lo stabilirsi di comportamenti abituali.

Il secondo processo fa riferimento all’osservazione che l’esordio dell’anoressia nervosa inizia tipicamente durante un periodo di stress.  Studi sui topi e sugli uomini hanno dimostrato che i comportamenti appresi durante un periodo di stress diventano con più probabilità abituali rispetto a quelli appresi durante altri momenti.

Infine, per definizione, l’anoressia nervosa include la perdita di peso. C’è buona evidenza che una significativa perdita di peso inneschi la tendenza a sviluppare un pattern compulsivo di comportamento, come documentato dallo studio sul semidigiuno del “Minnesota Study” eseguito su soggetti sani.

Implicazioni cliniche

Il modello proposto da Walsh ha numerose implicazioni cliniche. L’ipotesi che le caratteristiche comportamentali nucleari dell’anoressia nervosa siano abituali è coerente con l’osservazione che il disturbo è più facilmente trattato negli individui giovani e con breve durata di malattia. Negli adolescenti la guarigione è un esito frequente ed è ipotizzabile che, con una breve durata di malattia, sia meno probabile che i processi rinforzanti della dieta si stabiliscano e si radichino fortemente. Questa formulazione supporta anche la raccomandazione che gli interventi che si focalizzano sull’interrompere il comportamento di dieta e favoriscono il recupero del peso a livello normale siano cruciali nell’affrontare i processi descritti sopra per favorire un completo recupero.

Il modello supporta anche l’utilità clinica di aiutare gli individui con anoressia nervosa a riconoscere che la dieta diventa automatica e può essere attivata da una serie di stimoli interni ed esterni, inclusi gli stati emotivi negativi.

Infine, per i pazienti con anoressia nervosa di lunga durata può essere importante potenziare gli interventi attuali con tecniche incluse nella terapia di “reversal habit” che si è dimostrata utile nell’affrontare disturbi come la tricotillomania e la sindrome di Tourette.

Commento

La nostra esperienza clinica nel trattamento ambulatoriale e intensivo con gli individui con anoressia nervosa ci trova d’accordo su alcuni aspetti, ma allo stesso tempo dubbiosi su altri del modello proposto da Walsh.

Concordiamo sicuramente sulla natura auto perpetuante della dieta e quindi sulla necessità clinica di affrontare direttamente e precocemente questo comportamento. Non a caso, la terapia cognitivo comportamentale potenziata (CBT-E) per i pazienti con anoressia nervosa prevede una serie di procedure e strategie per affrontare molti processi descritti da Walsh. Tra queste la più importante è certamente l’alimentazione pianificata e meccanica attraverso la quale il paziente è istruito a pianificare in anticipo quando, che cosa e dove mangiare e ad affrontare i pasti  cercando di non farsi influenzare da stimoli esterni (per esempio vista del cibo),  interni (per esempio sensazione di pienezza precoce) e dai significati acquisiti sull’alimentazione. Anche l’indicazione di compilare la scheda di monitoraggio in “tempo reale” è stata ideata proprio con lo scopo di rendere più consapevole il paziente di quello che sta facendo nel momento, per facilitare il cambiamento di comportamenti che sembrano automatici e fuori dal controllo. Infine, il problem solving proattivo è stato incluso per aiutare i pazienti a rompere il legame tra eventi, cambiamenti emotivi associati e modificazione dell’alimentazione.

Gli aspetti, invece, su cui abbiamo più perplessità sono in generale legati al fatto che troviamo il modello proposto da Walsh eccessivamente riduttivo. Esso propone una visione troppo meccanicistica ed esclusivamente comportamentistica dell’anoressia nervosa, trascurando totalmente la componente cognitiva  del disturbo. In particolare, il modello non considera l’importanza dell’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo nel mantenimento dell’anoressia nervosa, il cui ruolo centrale deriva da numerose osservazioni. Primo, l’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo è responsabile di un’ampia proporzione della varianza delle abbuffate e dei comportamenti eliminativi osservata in un ampio sottogruppo di individui con disturbi dell’alimentazione. Secondo, Il grado della valutazione del peso e della forma del corpo predice un decorso persistente del disturbo dell’alimentazione. Terzo, I livelli residui di preoccupazione per il peso e la forma del corpo alla fine del trattamento si associano spesso alla ricaduta. Quarto, la versione comportamentale del trattamento della bulimia nervosa, che non affronta i processi cognitivi, ha un elevato tasso di ricaduta.

Il modello proposto da Walsh prevede che l’estinzione dei processi rinforzanti attraverso il recupero del peso e il miglioramento degli effetti dei sintomi da malnutrizione produce la remissione dell’anoressia nervosa. In realtà, molto spesso il recupero di peso nei pazienti con anoressia nervosa aumenta la preoccupazione per il peso e la forma del corpo che a sua volta porta a riutilizzare la dieta: un’osservazione che sottolinea l’importanza  dei processi cognitivi nel favorire la ricaduta.

Infine, un altro importante limite del modello teorico proposto da Walsh è di non spiegare perché la maggior parte degli individui, anche adolescenti, che inizia una dieta la interrompe spontaneamente in un periodo di tempo più o meno lungo.