Investigare i mediatori del cambiamento per comprendere come funzionano i trattamenti psicologici

A cura di: Massimiliano Sartirana1 e Riccardo Dalle Grave2

1Unità Locale AIDAP Verona; 2Unità di Riabilitazione Nutrizionale Casa di Cura Villa Garda.

Fonte: Murphy R, Cooper Z, Hollon SD, Fairburn CG. How do psychological treatments work? Investigating mediators of change. Behav Res Ther. 2009;47:1-5.

Introduzione

Il dibattito tra chi sostiene che i trattamenti psicologici funzionino esclusivamente attraverso meccanismi comuni o non specifici e chi, invece, sostiene che siano gli elementi specifici del trattamento a determinare l’esito positivo del trattamento è ancora aperto, sebbene ci siano degli studi abbiano chiaramente dimostrato la superiorità di alcune psicoterapie rispetto ad altre (1).

Un metodo per superare  questa diatriba è comprendere i mediatori del trattamento, cioè i  meccanismi attraverso cui le diverse forme di psicoterapia raggiungono i loro effetti (2). Sfortunatamente è molto difficile disegnare e condurre studi mediazionali e, in parte, questo spiega le limitate conoscenze che tuttora abbiamo sui meccanismi d’azione delle psicoterapie.

In questo lavoro riportiamo una sintesi di un articolo pubblicato dal gruppo di ricerca CREDO dell’università di Oxford che descrive in modo eccellente la metodologia da adottare per condurre in modo appropriato gli studi mediazionali in psicoterapia (3)

Mediatori e moderatori

Nel campo della psicoterapia c’è ancora molta confusione e inconsistenza nell’uso dei termini “mediatori” e “moderatori”.  Qui di seguito riportiamo le definizioni fornite da Kraemer e collaboratori riportate in un loro famoso articolo (2).

I moderatori precedono il trattamento, non sono correlati con il trattamento e spiegano, in senso statistico, le differenze individuali negli effetti del trattamento. In altre parole indicano per chi e sotto quali circostanze il trattamento funziona. Di conseguenza, essi aiutano i ricercatori a stabilire più accurati criteri di inclusione ed esclusione e di stratificazione dei pazienti per massimizzare la  potenza degli studi randomizzati e controllati (RCT). Inoltre, suggeriscono ai clinici quali pazienti hanno più probabilità di rispondere al trattamento e a quali invece consigliare una cura diversa. Infine, i moderatori possono aiutare a identificare sottopopolazioni con possibili meccanismi causali o decorso di malattia diversi.

I mediatori identificano possibili “meccanismi” attraverso cui un trattamento può raggiungere i suoi effetti. Questi meccanismi sono legami causali tra il trattamento e l’esito. Come tutti i fattori causali sono fattori di rischio ma non tutti i fattori di rischio sono fattori causali, anche tutti i meccanismi sono mediatori, ma non tutti i mediatori sono meccanismi. Dimostrare la causalità è molto più difficile di stabilire lo stato di mediazione. Per questo motivo è più conveniente inizialmente focalizzare la ricerca sull’identificazione dei mediatori. Successivamente solo un RCT, in cui un trattamento potenziato nelle componenti associate con il mediatore identificato mostra di essere più efficace del trattamento originale non potenziato, può stabilire che il mediatore è anche un meccanismo. Comprendere i meccanismi attraverso cui un trattamento funziona può favorire lo sviluppo di trattamenti innovativi più efficaci o meno costosi. Questa conoscenza può anche aiutare a potenziare e a rifinire le componenti attive del trattamento e a eliminare le componenti inattive o ridondanti. Infine, può aiutare anche a migliorare la nostra conoscenza sulla natura del disturbo clinico trattato. Per esempio, c’è una buona evidenza che la terapia cognitivo comportamentale (CBT) per il disturbo di panico ha successo perché elimina le cognizioni catastrofiche riguardanti i cambiamenti corporei: un’osservazione che ha fornito un buon supporto alla teoria cognitiva del panico (4).

Investigare i mediatori all’interno di trial randomizzati controllati

I RCT costituiscono un’opportunità spesso non sfruttata per studiare i mediatori degli effetti del trattamento. I punti chiave da considerare sono i seguenti:

  • La decisione di eseguire un’analisi per l’identificazione dei mediatori deve essere presa in anticipo, dal momento che influenza la scelta delle misurazioni utilizzate e quando sono applicate.
  • Devono essere formulate delle ipotesi che riguardino i probabili meccanismi d’azione del trattamento che è valutato. Le ipotesi devono essere derivate dalla teoria sottostante il trattamento e dai risultati di ricerche precedenti.
  • Il trattamento, i presunti mediatori e l’esito devono essere operazionalizzati e deve essere ideato un adeguato protocollo di valutazione. La condizione ideale si verifica quando i mediatori sono studiati all’interno di un RCT che include un trattamento di confronto o una condizione di controllo. Questo serve a escludere la possibilità che quello che sembra mediare il cambiamento sia semplicemente dovuto a un effetto delle aspettative ovvero al generale effetto di sapere di ricevere un trattamento piuttosto che allo specifico effetto del trattamento considerato.
  • La natura del trattamento di confronto è rilevante. Trattamenti meno efficace rispetto al trattamento indicato possono servire come controlli per i processi appena descritti. I trattamenti che sono ugualmente efficaci, ma che operano attraverso diversi meccanismi, possono invece essere utilizzati per assicurarsi che il cambiamento nel mediatore presunto non sia una conseguenza del cambiamento nella variabile di esito (“causalità inversa”). È  importante tener presente che se si confronta più di un trattamento, è possibile studiare i mediatori di azione di entrambi i trattamenti simultaneamente.
  • Il tempo delle misurazioni è di cruciale importanza, dal momento che bisogna dimostrare che il cambiamento nel mediatore avvenga prima del cambiamento nell’esito di interesse, altrimenti il risultato potrebbe essere solamente un effetto secondario. Stabilire la precedenza temporale è particolarmente impegnativo quando gli effetti del mediatore sono con probabilità molto rapidi come spesso accade effettivamente. Una soluzione è misurare sia il presunto mediatore sia la variabile di esito a intervalli frequenti per tutto il periodo in cui il cambiamento è probabile che avvenga. È importante enfatizzare che non è sufficiente misurare il livello della variabile di esito alla fine del trattamento. Questo perché è possibile che il trattamento possa produrre un cambiamento nell’esito prima del momento in cui il mediatore è stato valutato, con la conseguenza che parte del cambiamento osservato nel mediatore potrebbe essere il risultato di un processo causale di un cambiamento nella variabile di esito prima del conseguente cambiamento nel mediatore.

Studiare i mediatori di azione dei trattamenti psicologici

Due sfide particolari sorgono quando studiamo i mediatori di azione dei trattamenti psicologici.

La prima è che i trattamenti psicologici differiscono nella loro concettualizzazione. Alcuni trattamenti tendono ad essere considerati come un’unità completa piuttosto che una collezione di procedure, mentre in altri casi accade il contrario. Per esempio, la psicoterapia interpersonale (IPT)  (5) è di solito concettualizzata come un trattamento o un unità completa.  Al contrario, molte CTB comprendono una varietà di differenti elementi procedurali che possono essere visti sia da soli o come un gruppo integrato di tecniche dirette a un obiettivo specifico. Per esempio, la CBT per la depressione può essere vista sia come unità sia come un trattamento che comprende un numero distinto di procedure che includono l’attivazione comportamentale e la ristrutturazione cognitiva (6). Questa distinzione è importante dal momento che fornisce la possibilità sia di studiare l’azione del trattamento nella sua interezza sia quella delle sue parti.

La seconda questione è di origine pratica, piuttosto che concettuale, e riguarda il fatto che quasi tutti i trattamenti, tranne i più semplici, sono implementati in modo flessibile. In altre parole, il loro uso preciso è adattato alla psicopatologia individuale, alle circostanze e ai progressi nel fare il cambiamento, con la conseguenza che il trattamento non è identico in ogni caso. Per esempio, in molte forme di CBT il preciso momento in cui particolari procedure sono implementate differisce da paziente a paziente, e perciò in alcuni casi certe procedure possono anche non essere usate. Questa flessibilità inerente alla buona pratica clinica complica sostanzialmente la ricerca sui mediatori.

Studiare i mediatori di azione della CBT e della IPT nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione

Di seguito è riportata la descrizione delle strategie e delle procedure che il gruppo di ricerca CREDO ha sviluppato per affrontare alcune delle difficoltà descritte sopra. Il contesto a cui si fa riferimento è il trattamento dei pazienti con disturbi dell’alimentazione, ma i principi si possono applicare ad altri disturbi psicologici e a differenti trattamenti. In questo caso particolare, due sono i trattamenti che sono stati studiati: la IPT e la CBT-E (E = Enhanced – potenziata) per i disturbi dell’alimentazione.

La IPT e la CBT-E differiscono significativamente nel razionale, nelle strategie e nelle procedure e hanno con molta probabilità differenti modalità di azione. La IPT è stata ideata per aiutare i pazienti ad affrontare il loro disturbo dell’alimentazione indirettamente risolvendo i problemi interpersonali attuali della loro vita. Il trattamento è derivato dalla IPT per la depressione e gli assomiglia molto.

La CBT-E è l’ultima versione del principale trattamento empiricamente supportato per i disturbi dell’alimentazione. Il trattamento è transdiagnostico nella sua natura ovvero adattabile a tutte le forme di disturbo dell’alimentazione qualsiasi sia la diagnosi. Diversamente dalla IPT, la CBT-E comprende una collezione di strategie e procedure focalizzate per affrontare direttamente le caratteristiche psicopatologiche dei disturbi dell’alimentazione e i meccanismi di mantenimento che operano nel singolo paziente. La CBT E può essere concettualizzata sia come collezione di procedure discrete, ciascuna delle quali ha un suo meccanismo di azione, sia come un’unità completa. A complicare la ricerca della CBT E è il fatto che il trattamento è disegnato per essere utilizzato in modo molto flessibile, in altre parole la scelta delle procedure e il tempo del loro inserimento è adattato alle necessità del singolo paziente.

Mediatori di cambiamento ipotizzati nell’IPT

Il gruppo di ricerca CREDO ha formulato quattro ipotesi sui meccanismi principali attraverso cui la IPT potrebbe raggiungere i suoi effetti:

  • La riduzione delle caratteristiche del disturbo dell’alimentazione è largamente mediata da una diminuzione della gravità dei problemi interpersonali affrontati dal trattamento. In questo caso, il presunto mediatore è una riduzione della gravità degli specifici problemi interpersonali affrontati.
  • La riduzione delle caratteristiche del disturbo dell’alimentazione è largamente mediata da un incremento nell’autoefficacia interpersonale nei riguardi dei problemi specifici affrontati dal trattamento. In questo caso il presunto mediatore è un aumento nella forza della convinzione del pazienti di essere capace di affrontare i problemi interpersonali su cui si è focalizzato il trattamento.
  • La riduzione della caratteristiche del disturbo dell’alimentazione è largamente mediata da un aumento dell’autoefficacia generale interpersonale. In questo caso, il mediatore proposto è un incremento nella forza della convinzione del paziente di essere capace di affrontare difficoltà interpersonali in generale piuttosto che quelle sui cui si è focalizzato il trattamento.
  • La riduzione delle caratteristiche del disturbo dell’alimentazione è largamente mediata da un aumento di autostima. Il presunto mediatore è, in questo caso, l’aumento dell’autostima.

La natura di questi presunti quattro mediatori è tale da richiedere un tempo considerevole affinché si modifichino. Inoltre, in tutte e quattro le ipotesi è predetto che il cambiamento critico nel mediatore si verifichi nei momenti successivi al trattamento e che il cambiamento nel disturbo dell’alimentazione si verifichi conseguentemente a questo. Questa previsione è coerente con il risultato che, alla fine del trattamento, i pazienti con bulimia nervosa che ricevono la IPT mostrano una riduzione meno significativa nella frequenza di abbuffate e vomito rispetto a quelli che ricevono la CBT; una differenza che scompare durante il follow-up, grazie al continuo miglioramento nei pazienti trattati con l’IPT rispetto al cambiamento modesto o nullo osservato in quelli trattati con la CBT.

Mediatori ipotizzati di cambiamento nella CBT E

Nel caso della CBT-E il gruppo di ricerca CREDO ha scelto di focalizzarsi sui mediatori di azione di quattro procedure di trattamento specifiche e non sul trattamento nella sua interezza. Ogni procedura affronta un processo psicopatologico specifico che si pensa essere centrale nel mantenere i disturbi dell’alimentazione e ciascuno è descritto in dettaglio nella guida del trattamento (7).

  • La procedura “pesarsi settimanalmente”. La predizione è che la riduzione delle preoccupazione per il peso che avviene nelle prime fasi della CBT-E è largamente mediata da una riduzione nella frequenza del misurazione del peso (come risultato della procedura di pesarsi settimanalmente). I pazienti con disturbo dell’alimentazione sono estremamente preoccupati del loro peso (il numero sulla bilancia). Spesso controllano il loro peso frequentemente e di conseguenza si focalizzano su cambiamenti di peso ininfluenti. L’eccessiva preoccupazione per il peso e la paura associata di aumentare di peso mantengono la restrizione dietetica rigida ed estrema e impediscono un cambiamento dell’alimentazione. La preoccupazione per il peso è affrontata precocemente dalla CBT-E attraverso la procedura “pesarsi settimanalmente” in cui il terapeuta e il paziente misurano e interpretano collaborativamente il peso una volta la settimana. I pazienti sono aiutati a non pesarsi al di fuori delle sedute. La procedura è associata all’educazione, supportata da letture specifiche, sulla regolazione fisiologica del peso.
  • La procedura “mangiare in modo regolare”. La predizione è che la riduzione nella frequenza delle abbuffate, che avviene precocemente nella CBT-E, è largamente mediata dall’adozione di un’alimentazione regolare (come risultato della procedura mangiare in modo regolare). I pazienti con disturbo dell’alimentazione hanno un modo distintivo di mangiare caratterizzato dal mangiare in modo ritardato e dall’evitamento di pasti o spuntini o da un modo altamente non strutturato di mangiare. Il mangiare regolarmente, come il pesarsi settimanalmente, viene introdotto precocemente nel trattamento e consiste nell’aiutare il paziente a consumare tre pasti pianificati e due spuntini senza mangiare negli intervalli (3+2+0). Il mangiare in modo regolare ha molti effetti, tra cui quello di ridurre la frequenza degli episodi bulimici.
  • La procedura “regole dietetiche”. La riduzione della restrizione dietetica osservata nella fasi intermedie e finali del trattamento è largamente mediata dall’erosione della convinzione che l’aderenza a regole dietetiche estreme e rigide è necessaria per prevenire le abbuffate. l’aumento di peso o la grassezza (come risultato della procedura “regole dietetiche”. La maggior parte dei pazienti adotta regole dietetiche estreme e rigide. La procedura “regole dietetiche” è stata ideata per affrontare questa modalità di fare la dieta e include l’identificazione delle regole dietetiche, l’educazione sui danni causati nelle vita di tutti dall’adozione di regole dietetiche rigide ed estreme e sui meccanismi attraverso cui mantengono il disturbo dell’alimentazione. La paura dei pazienti associata alla rottura di queste regole è sfidata usando esperimenti comportamentali in combinazione con l’educazione sui trigger delle abbuffate e dei processi sottostanti all’aumento di peso e alla modificazione della forma del corpo. Il risultato è che i pazienti imparano che le conseguenze temute della rottura delle regole dietetiche non accadono e di conseguenza le regole diventano un problema e non più un segno di forza. L’erosione della convinzione che seguire regole alimentari rigide ed estreme sia necessario per prevenire gli episodi bulimici, il recupero del peso o la grassezza porta i pazienti gradualmente a moderare e a volte ad abbandonare le restrizione dietetica. L’uso e il tempo di implementazione di questa procedura sono cuciti su misura sulle necessità individuali dei pazienti ed si basano sulla valutazione dell’importanza delle regole dietetiche nel mantenere la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione dopo la prima fase del trattamento.
  • La procedura del “check della forma del corpo”. La predizione è che  la riduzione della preoccupazione per la forma del corpo che avviene nella parte centrale e finale del trattamento è largamente mediata dalla riduzione del check del corpo (come  risultato della procedura “check della forma del corpo”). I pazienti con disturbi dell’alimentazione adottano frequenti check della forma del corpi (usando metodi multipli come pizzicare il grasso, misurare il corpo, scrutinare il corpo allo specchio, confrontare il corpo cono quello di altre persone). Nella procedura “check della forma del corpo” i pazienti sono dapprima resi consapevoli dei loro comportamenti di check e dei loro effetti avversi. Poi sono aiutati a effettuare cambiamenti strategici del loro modo di controllare la forma del corpo e di valutarne gli effetti in termini di riduzione della preoccupazione per la forma del corpo. In comune con la procedura “regole dietetiche”, l’uso e i tempi di introduzione di questa procedura sono personalizzati e sono basati sull’importanza della preoccupazione per la forma del corpo nel mantenere la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione.

Al contrario dei meccanismi di azione ipotizzati per la IPT, si ipotizza che le quattro procedure della CBT-E operino rapidamente con un breve scarto temporale tra il cambiamento nel presunto mediatore e il cambiamento nella variabile di esito rilevante.

Implicazione per il disegno di ricerca

Secondo i ricercatori del gruppo CREDO, la ricerca dei quattro presunti mediatori della IPT è relativamente chiara. I principali punti sono i seguenti:

  • La IPT è concettualizzata come un unità.
  • Il mediatore è misurato in basale e alla fine del trattamento (20 settimane più tardi).
  • L’esito di interesse (livello della psicopatologia del disturbo dell’alimentazione) è misurato all’inizio della IPT, 20 e 40 settimane dopo la fine del trattamento. Il livello della psicopatologia del disturbo dell’alimentazione è rivalutato alla fine del trattamento, così che ogni cambiamento incidentale nel trattamento possa essere controllato dall’analisi.
  • I dati equivalenti sono presi da casi pareggiate della CBT-E per permettere che siano eseguiti dei confronti crociati tra i trattamenti.

Gli stessi principi sono utilizzati per affrontare le quattro ipotesi della CBT E. In questo caso, però, ci sono due problemi aggiuntivi. Il primo è che il cambiamento nel mediatore si pensa accada rapidamente e di conseguenza ci può essere un intervallo relativamente breve prima che il cambiamento nell’esito si verifichi. Il secondo è che la terza e la quarta procedura sotto studio non sono introdotte in punti precisi del trattamento. La conseguenza è che il disegno di ricerca deve essere modificato nei seguenti quattro modi

  • Il tempo di implementazione di ciascuna delle quattro procedure CBT-E è registrato sulla base del singolo caso in modo tale da sapere esattamente quando esse sono inserite.
  • Ogni mediatore e variabile di esito è misurato frequentemente e simultaneamente per tutto il trattamento.
  • I dati necessari per le analisi mediazionali sono selezionati in base al singolo paziente in riferimento al momento in cui ciascuna della quattro procedure è implementata. In ogni caso, il dato sul livello del mediatore è estratto appena prima dell’implementazione della procedura e subito dopo la rivalutazione del livello del mediatore. Allo stesso modo, il dato sul livello della variabile di esito è rilevato appena prima dell’inizio della procedura e subito dopo la rivalutazione del livello del mediatore.
  • Dati equivalenti sono collezionati da casi trattati con la IPT confrontati individualmente in modo tale che possano essere eseguiti confronti crociati tra il trattamento.

Conclusioni

Il lavoro presentato dal gruppo di ricerca CREDO sottolinea che quando si vogliono studiare i meccanismi d’azione dei trattamenti psicologici si devono affrontare due sfide maggiori. La prima è l’importanza di concettualizzare il trattamento in esame e in particolare se considerare l’intervento come un’unità o come una collezione di procedure, ognuna con il suo modo di azione. La seconda deriva dal fatto che la maggior parte dei trattamenti psicologici è implementata in modo flessibile. Un metodo usato dal gruppo di ricerca CREDO per affrontare questo problema è valutare i mediatori di azione della IPT e della CBT-E nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione in uno studio controllato di cui attendiamo con curiosità i risultati. Lo stesso può essere però fatto per studiare trattamenti psicologici applicati in altri  disturbi.

L’articolo del gruppo di ricerca CREDO, a nostro avviso, oltre che brillante per la sua chiarezza, è di grande rilevanza anche per l’attività clinica. Come per il cuoco è fondamentale sapere quali ingredienti usare per cucinare un piatto di qualità, anche per il clinico è cruciale conoscere quali sono le procedure da applicare per affrontare con successo i meccanismi di mantenimento della psicopatologia del paziente. Per questo motivo attendiamo con fiduciosa speranza che gli studi sui mediatori dei trattamenti psicologici producano risultati consistenti e di utilità clinica, consapevoli che da questa ricerca dipende la possibilità di garantire ai nostri pazienti trattamenti psicologici di sempre più elevata qualità.

Referenze

  1. Poulsen S, Lunn S, Daniel SI, Folke S, Mathiesen BB, Katznelson H, et al. A randomized controlled trial of psychoanalytic psychotherapy or cognitive-behavioral therapy for bulimia nervosa. Am J Psychiatry. 2014;171:109-16.
  2. Kraemer HC, Wilson GT, Fairburn CG, Agras WS. Mediators and moderators of treatment effects in randomized clinical trials. Arch Gen Psychiatry. 2002;59(10):877-83.
  3. Murphy R, Cooper Z, Hollon SD, Fairburn CG. How do psychological treatments work? Investigating mediators of change. Behav Res Ther. 2009;47:1-5.
  4. Clark DM. Anxiety disorders: why they persist and how to treat them. Behav Res Ther. 1999;37 Suppl 1:S5-27.
  5. Weissman MM, Markowitz JC, Klerman GL. Comprehensive guide to interpersonal psychotherapy. New York: Basic Books; 2000.
  6. Jacobson NS, Dobson KS, Truax PA, Addis ME, Koerner K, Gollan JK, et al. A component analysis of cognitive-behavioral treatment for depression. J Consult Clin Psychol. 1996;64:295-304.
  7. 2828Fairburn CG. Cognitive behavior therapy and eating disorders. New York: Guilford Press; 2008.