CBT ambulatoriale per i disturbi dell’alimentazione: effectiveness in un gruppo transdiagnostico del mondo reale

A cura di Massimiliano Sartirana e Riccardo Dalle Grave

Fonte: Turner H, Marshall E, Stopa L, Waller G. Cognitive-behavioural therapy for outpatients with eating disorders: Effectiveness for a transdiagnostic group in a routine clinical setting. Behav Res Ther. 2015;68:70-5

La sintesi dell’articolo che riportiamo ha l’obiettivo di descrivere uno studio condotto da Turner e colleghi che ha avuto come principale obiettivo quello di dimostrare l’efficacia della terapia cognitiva comportamentale (CBT) per la cura dei disturbi dell’alimentazione secondo il modello di Waller (1), applicata in un servizio clinico del National Health System d Regno Unito. Il reclutamento dei pazienti ha avuto pochi criteri di esclusione e nessun limite di indice di massa corporea (IMC).

203 pazienti con disturbo dell’alimentazione (190 donne e 13 uomini) sono stati reclutati tra il 2010 e il 2013 e valutati con l’ Eating Disorders Examination (EDE.16.0D). 56 (28%) avevano una diagnosi di anoressia nervosa, 58 (29%) di bulimia nervosa e 89 (43%) di disturbo dell’alimentazione non altrimenti specificato. L’età media del campione era di 27,6 anni e il loro IMC medio all’inizio del trattamento era di 21.

Per valutare gli esiti del trattamento sono stati utilizzati, oltre all’EDE.16.0D, l’Eating Disorders Examination Questionnaire (EDE-Q), il Clinical Impairment Assessment Questionnaire (CIA) l’Hospital Anxiety and Depression Scale e il Clinical Outcomes in Routine Evaluation-Outcome Measure (CORE-OM). Le misurazioni sono state eseguite all’inizio e alla fine del trattamento, mentre l’EDE-Q è stato somministrato anche alla sesta seduta di trattamento.

Il trattamento è stato condotto da 11 terapeuti (tre esperti nel trattamento disturbi dell’alimentazione, quattro psicologi clinici e quattro psicologi clinici tirocinanti) che sono stati sottoposti a regolare supervisione. La durata del trattamento è stata di 20 sedute ma è stata accorciata in caso di rapido cambiamento (fino a un minimo di 10 sedute) ed estesa per quei pazienti con una comorbidità più significativa o che erano sottopeso (40 sedute). Nessun paziente ha ricevuto riceveva un’altra terapia psicologica o un trattamento più intensivo durante il periodo in cui ha seguito la CBT.

Dei 203 che hanno iniziato il trattamento, 24 lo hanno abbandonato trattamento per questioni logistiche, mentre Il tasso di drop-out globale è stato del 44%. Inoltre, non tutti i pazienti hanno completato le misurazioni previste-

L’analisi “intention to treat”, che include anche i drop-out, ha evidenziato che 34 (19%) pazienti hanno raggiunto una remissione dal disturbo dell’alimentazione, definita come avere un IMC >18,5, non riportare episodi bulimici e comportamenti di vomito e lassativi negli ultimi 28 giorni e un punteggio di EDE-Q totale < 2,46. L’analisi ha anche evidenziato che tra i completers, il 31% ha raggiunto una remissione rispetto al 3,8% dei drop-out. Non ci sono state inoltre differenze significative tra le diagnosi in termini di tasso di remissione. Infine, la psicopatologia generale è migliorata significativamente nelle aree valutate sia tra i completers sia all’analisi intention to treat.

Commento

Una delle principali obiezioni riferite dai clinici in merito all’applicazione dei trattamenti basati sull’evidenza è che la condizione di ricerca, dove spesso sono esclusi i pazienti con elevati livelli di comorbilità e l’aderenza al non al protocollo del clinico non è valutata cosi attentamente, non è replicabile in un contesto clinico reale. Questa obiezione alimenta il dubbio che si possano ottenere risultati simili nella realtà clinica e costituisce un ostacolo all’applicazione di trattamenti basati sull’evidenza e quindi alla loro disseminazione.

Il principale merito di questo studio è di costituire una prova contraria a tale affermazione perché dimostra l’efficacia della CBT in un ampio campione di pazienti con disturbo dell’alimentazione in un setting clinico reale con pochi criteri di esclusione.

Lo studio presenta comunque dei limiti. Il primo è l’assenza di un controllo esterno che abbia valutato il grado di aderenza dei terapeuti al manuale CBT. Questo mette in dubbio la purezza teorica e terapeutica dell’intervento rispetto a quello che avviene in genere negli studi di efficacia. In secondo luogo, il livello diverso di formazione ed esperienza dei terapeuti potrebbe aver avuto un impatto sugli esiti. Infine, la mancanza di follow-up preclude qualsiasi considerazione sul mantenimento a lungo termine dei risultati.

In conclusione, si può dire che questo studio dimostra l’applicabilità della CBT in un servizio clinico per cui l’attenzione adesso si dovrebbe spostare non tanto sulla questione se il trattamento funziona nel mondo reale ma piuttosto, visto il maggior tasso di drop-out rispetto a quello riportati dagli studi eseguiti nei setting di ricerca, sulla necessità di potenziare le strategie che mantengano i pazienti in trattamento in modo tale da garantire alla maggior parte dei pazienti i suoi benefici.

  1. Waller G, Cordery H, Corstorphine E, Hinrichsen H, Lawson R, Mountford V et al. Cognitive behavioral therapy for eating disorders: A comprehensive treatment guide. Cambridge: Cambridge University Press; 2007.